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Scuola Zen-Soto

A cura di Riccardo Marini di Villafranca
Indicato anche come CHAN in cinese, ZEN in giapponese o DHYANA in sanscrito, tutti termini che vogliono dire: pensare, riflettere, meditare.

MONACI INIZIATORI: Vari monaci dall’800 al 1200. Il Vero Capo del Lignaggio fu Eihei Dōgen (1200 – 1253).

DIVINITÁ VENERATE: Tutti i Budda trascendenti (= Dhyani-Budda) vengono venerati/invocati, ma con un’enfasi minore rispetto alle altre scuole buddiste Mahayana. Ad essi si attribuisce qualsiasi potere possibile, analogamente a come viene fatto in altre confessioni buddiste, che però normalmente nutrono maggiore devozione per uno di essi in particolare.

DOTTRINA

Il buddismo Zen è incentrato sul satori o go (“Comprensione della Realtà”) o anche kenshō (“guardare la propria natura di Budda” ovvero “attualizzare la propria natura illuminata”). Questa esperienza non viene semplicemente identificata come “intuizione” quanto piuttosto come un’esperienza improvvisa e profonda che consente la “visione intima del cuore delle cose”, la quale risulta essere identica alla “natura di Budda”. Quest’ultima equivale alla “natura di tutta la realtà”, del cosmo e del Sé, e corrisponde alla stessa Vacuità, rappresentata fisicamente nello Zen dall’Ensō, un “cerchio” che ne è un simbolo distintivo peculiare.

Come detto sopra però, anche se si parla di “Natura di Budda”, il ricorso alla venerazione o all’invocazione a dei Budda trascendentali, tipici del Mahayana, è limitato. Da questo punto di vista in occidente lo Zen è stato più visto come una filosofia di vita (o pratica yoga) aperta a tutte le religioni piuttosto che una religione a sé stante.

Nella sua pratica il satori si concretizza in un’esperienza illuminante improvvisa, e spesso viene descritto come uno stravolgimento della mente, proprio come improvvisamente ruota l’indice di una bilancia quando mettiamo su un piatto un peso ben superiore a quello presente sull’altro. Il satori, pur essendo un’esperienza che cambia/illumina la mente, può essere ripetuto. Il satori quindi non coincide con il Nirvāṇa, obiettivo delle scuole del buddismo antico dei Nikāya. Quest’ultimo si presenta infatti fondamentalmente come rinuncia al mondo e distacco da esso, mentre il satori è una forma di bodhi (= risveglio spirituale, illuminazione – termine sanscrito e pali) che si propone una partecipazione attiva e consapevole al mondo, anche se percepito nella sua dimensione di Vacuità.

Il satori é il risultato di severi studi, dell’utilizzo di Koan e della pratica dello zazen, per concentrare correttamente la mente, il tutto sotto la guida di un maestro esperto.

I sutra

La dottrina buddista Zen utilizza le scritture sacre buddiste (sutra) per la formazione dei discepoli, ma non vi è un’esplicita venerazione per qualche Dhyani-Budda in particolare o per qualcuno degli altri numerosissimi Budda trascendenti in esse citati, come invece avviene in altre scuole buddiste Mahayana. Alcuni sutra vengono recitati durante le funzioni religiose e nella formazione dei discepoli. I più utilizzati sono:

  • il Sutra del Cuore. Dōgen Zenji fondatore giapponese della scuola Zen Sōtō ebbe a dichiarare nella sua opera fondamentale, lo Shōbōgenzō: «Il Sutra del Loto è il re dei sutra: riconoscetelo come il vostro grande maestro. Comparato a questo sutra tutti gli altri si pongono soltanto come suoi contenuti, perché esso soltanto esprime la Verità ultima. Gli altri presentano soltanto insegnamenti provvisori, non le vere intenzioni del Budda.»;
  • il Vimalakīrti Nirdeśa Sūtra;
  • il Laṅkāvatārasūtra.

Lo studio dei Koan

La parola giapponese kōan, che letteralmente significa “editto pubblico”, indica il resoconto di un incontro tra maestro e discepolo. Abitualmente, durante questo incontro, il maestro Zen assegna un quesito paradossale all’allievo come stratagemma per aiutarlo a liberarsi dal condizionamento mentale della logica dualistica e discriminante.

Essi possono anche provenire dai sutra o da antichi detti. La maggior parte delle volte, i koan sono di natura paradossale e appositamente enunciati per indurre il discepolo Zen, a rendersi conto, nel modo più drammatico, dei “limiti della logica e del ragionamento” e, come tali, non possono normalmente venire compresi subito dall’intelletto.

  • ESEMPIO DI KOAN: È noto il suono di due mani che applaudono. Ma che suono produce una sola mano che applaude?
    SOLUZIONE: Se ci soffermiamo sul battito di due mani, qual è il suono della destra e quale quello della sinistra? È impossibile distinguerli, è un unico battito! Il suono di due mani che applaudono provoca comunque un tipico rumore. Il suono provocato da un’unica mano è invece il silenzio… simile alla quiete, alla concentrazione, alla pace, che solo una visione inclusiva e di non-contrapposizione del mondo può dare, con il fine ultimo dell’illuminazione o del satori. È la fine del dualismo!
  • ESEMPIO DI KOAN: Un discepolo chiese ad un maestro di spiegargli alcuni passi di un sutra che non riusciva a comprendere. Il maestro, mentendo, disse di non sapere leggere ma che, se il discepolo gli avesse letto i brani, lui avrebbe tentato di spiegarglieli. A tale risposta il discepolo rispose: «Ma se non sai leggere le parole, come puoi spiegarmi la verità che esse sottendono?» Rispose il maestro: «La verità e le parole non sono collegate. La verità è come la luna e le parole come il dito che la indica. Non è necessario un dito per vedere la luna!». Non bisogna cioè scambiare lo strumento per descrivere la realtà (il dito) con la realtà stessa (la luna)!

Il lignaggio

La trasmissione del “lignaggio” procede, secondo questa tradizione, mediante l‘ishini denshin (trasmissione “da mente a mente”) ovvero da maestro a discepolo senza l’utilizzo delle parole, oppure per tramite di una intuizione improvvisa che genera l’illuminazione profonda.

L’eredità dello Zen

Lo Zen valorizzò tutto ciò che di umano può portare all’Illuminazione. Ispirò inoltre la poesia, la cerimonia del tè, l’arte di disporre i fiori, l’arte della calligrafia, la pittura, il teatro, l’arte culinaria, ed è anche alla base di alcune arti marziali (es. aikidō, karate, jūdō), dell’arte della spada (kendō) e del tiro con l’arco (kyūdō).

PRATICHE RELIGIOSE

Lo Zen evita la speculazione intellettuale e si distingue anche dalle altre scuole buddhiste Mahāyāna per aver reso centrale la pratica meditativa zazen, svolta con varie modalità: si tratta di una meditazione profonda con controllo del respiro, concentrando la mente sulla Vacuità ed altre verità fondamentali, effettuata da seduti. Con il termine zazen si intende infatti un vasto insieme di significati, grossolanamente traducibili in italiano con “meditazione da seduti“.

Il termine zazen fu certamente utilizzato la prima volta dal monaco buddista Kang Senghui, originario della Sogdiana, quando tra il II e il III secolo tradusse in cinese il “Sūtra del sedersi nel Dhyāna”. Lo stesso termine fu comunque certamente usato anche da Kumārajīva, attorno al 402, quando inaugurò la scuola di traduzioni di testi di Chang’an (ora Xi’an) traducendo il “Sūtra del Samādhi del sedersi nel Dhyāna”. Sebbene zazen non si impari attraverso le parole ma vivendolo giorno per giorno, possibilmente in contatto con chi in quell’arte è già esperto, vi è da secoli una minuziosa descrizione di come debba porsi il corpo affinché lo zazen sia efficace.

«La posizione è quella “del Loto”, con le gambe incrociate o in modo completo, o in modo incompleto (semi-Loto). Il corpo ed il collo sono eretti. Il mento è rientrato leggermente. Le mascelle e le labbra e i denti sono chiusi senza essere contratti; la lingua poggia contro il palato, in modo che non vi sia aria né saliva nella bocca. Le spalle sono invece rilassate, sciolte da ogni tensione. Le orecchie devono essere in linea con le spalle; il naso deve essere in linea con l’ombelico. Gli occhi devono sempre essere aperti. Il respiro avviene attraverso il naso».

Durante lo zazen viene praticata la meditazione Dhyana/Zen, che comprende:

  • Samatha: conseguimento della calma che stabilizza, ordina unifica e concentra la mente (vedi uguale voce nella descrizione della scuola Tendai);
  • Vipassana: l’intuizione profonda, che consente di scorgere la natura vera della realtà e quindi di superare i condizionamenti causati dallo stato di afflizione, di dolore, di angoscia, di tormento, di preoccupazione terrena, che vincolano gli esseri viventi al doloroso Saṃsāra (vedi uguale voce nella descrizione della scuola Tendai).

Seduti in zazen, si può ripetere mentalmente l’enunciato di un koan, fino a quando non viene interiorizzato. Sono tanti i pensieri e le spiegazioni che la mente offre riguardo ad un koan, ma non bisogna mai accontentarsi di una risposta. Perché non c’è una risposta al koan, c’è solo il farlo proprio nella vita, trasformando ogni attimo di essa in un koan. Seduti in zazen, immersi in un koan o semplicemente impegnati nella nostra quotidianità, se riusciamo a penetrare la realtà andando oltre le parole e le azioni, possiamo liberarci dalle illusioni e dai fantasmi della mente. Con la mente limpida come il cielo azzurro, possiamo vivere liberi dalla sofferenza derivante dai condizionamenti e dagli attaccamenti. Possiamo vedere la realtà così com’è e vivere il koan o, come dicono i maestri Zen, “essere il koan”.

In alcune sette Zen, dopo la meditazione zazen, si recitano dei sutra, per favorire uno stato di coscienza favorevole alla comprensione degli insegnamenti e per creare armonia tra corpo e mente. Inoltre, recitare i sutra con gli altri meditanti è un modo per essere un unico corpo e un’unica mente con tutti.

Lo zen non buddista

Esiste un’inattesa peculiarità che caratterizza questa pratica “originaria ed originale” del buddismo sino-giapponese. Essendo poco “religiosa” e più “intellettuale”, essa è stata associata ad altre religioni, fornendo loro un “come” ed un “verso” per realizzare una qualità spirituale elevata. Ciò al punto che molti percepiscono ed utilizzano tale “come/verso” per vivificare la propria religione d’origine.

A questo proposito, tra gli esempi possibili, ricordiamo che negli Stati Uniti d’America vi sono rabbini che consigliano lo zazen ai loro fedeli, ovviamente non per invitarli a “diventare” buddisti. Analoga scelta troviamo da tempo in ambienti cattolici americani ed europei, dove molte sono le situazioni in cui sono sacerdoti – più di rado le monache – ad organizzare e praticare lo zazen. L’esempio storico più significativo è quello del gesuita Hugo Makibi Enomiya-Lassalle (1898-1990), che disse:

«La verità è che, se un cristiano pratica intensamente lo zazen, dopo qualche tempo vede letteralmente accendersi all’improvviso le verità cristiane e le parole delle scritture».

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