A cura di Riccardo Marini di Villafranca
MONACO INIZIATORE: Saicho ovvero Dengyō Daishi (767 – 822)
DIVINITÁ VENERATA: l’Adi-Budda Amitabha
Amitabha/Amida viene adorato con fede quasi cieca e con sfumature pressoché monoteistiche. Questa scuola rappresenta uno sviluppo singolare all’interno del buddismo Mahayana, di cui accetta gli insegnamenti fondamentali, quali: la Vacuità del mondo reale, i tre Corpi del Budda (= Trikaya), la buddità come condizione innata (hongaku, o illuminazione intrinseca) di ogni essere senziente (che occorre solo risvegliare), la presenza dell’Adi-Budda e dei Dhyani-Budda, etc.
Samatha: profondo assorbimento della propria mente su un oggetto di meditazione. Si può fare un esempio semplice (per comprendere!) tratto dalla vita di tutti i giorni. Per il pescatore che usa un galleggiante, l’assorbimento si concretizza quando il sughero s’immerge nell’acqua: un pesce sta abboccando! In tali momenti il tempo si arresta, la mente viene assorbita e si fonde con l’oggetto di concentrazione. L’evento cattura completamente l’attenzione del pescatore: egli non perde l’udito, la vista o le altre indispensabili funzioni vitali e senzienti. Se così non fosse sarebbe impossibile riuscire a portare quel pesce a riva! In questa fase però di “meditazione serena” si cerca di concentrare la propria attenzione su una singola problematica sino a che la mente entra in una condizione di profondo quasi-trance. Si sviluppa allora un grado di focalizzazione della mente, che la quieta ed elimina ogni impurità come odio, brama, sensualità, e così via. Tuttavia, se si cessasse di meditare a questo stadio ben presto tutte le sensazioni/sentimenti negativi potrebbero rapidamente rimpossessarsi della nostra mente.
Vipassana: visione della “Realtà” in maggiore profondità, che permette all’uomo di raggiungere l’intuizione profonda e quindi consente di scorgere la natura vera della realtà. Questo permette di superare i condizionamenti causati dallo stato di dolore, di angoscia, di tormento, di preoccupazione terrena, che vincolano gli esseri viventi al doloroso Samsāra. L’obiettivo perseguito è quello di coltivare la saggezza interiore. Si tratta di sviluppare un grado crescente di consapevolezza per percepire a fondo le reali caratteristiche dell’esistenza: impermanenza e interdipendenza di ogni cosa (la cosiddetta “Vacuità”).
Tecniche Shingon= Tomitsu: vengono considerate il più alto insegnamento del buddismo Maha-yana. Utilizzano i due mandala del Diamante e del Grembo (vedi setta Shingon).
Tecniche Tendai=Taimitsu: sono considerate solo un mezzo per meglio comprendere la profondità del Sutra del Loto. Utilizzano oltre ai due sopra menzionati, un terzo mandala basato sul Susiddhikāra Sūtra, con il quale si attuano delle pratiche tantriche dedicate e speciali.
Il Sutra del Loto, o meglio Sutra del Loto della Buona Dottrina, è uno dei testi più importanti nell’enorme corpus della letteratura del buddismo Mahāyāna, contenuto nel Canone (= raccolta di tesi sacri) cinese e nel Canone tibetano. Esso si compone di 27 capitoli. Secondo alcuni filologi il Sutra del Loto fu probabilmente composto nella sua forma definitiva tra il I e il II secolo d.C. in Kashmir o forse nel Gandhāra o ancora nei pressi di Kāpīsā (l’odierna Begram, in Afghanistan), territori allora inseriti nell’Impero Kushan. Alcune parti del testo sembrerebbero posteriori e potrebbero essere state aggiunte a più riprese fino al VI secolo in Cina. Altre parti, segnatamente i capitoli I, XIX e XVII, sembrerebbero risultare invece più antichi, anche precedenti alla nostra era.
Nel Mahāprajñāpāramitāśāstra, testo attribuito a Nāgārjuna (II-III secolo d.C.) e tradotto dal sanscrito al cinese da Kumārajīva nel V secolo d.C., si sostiene che il Sutra del Loto è il più importante di tutta la collezione dei 38 Prajñāpāramitā Sūtra, in quanto proclama che anche i seguaci dello Hīnayāna possono raggiungere la suprema bodhi (Buddità, illuminazione), poichè stanno già operando come dei Budda.
L’intera ambientazione del Sutra del Loto è sovrannaturale; in esso, dal primo capitolo all’ultimo, non c’è nulla che pretenda di essere storico. Nella Bibbia, per esempio, i miracoli hanno luogo nella Storia, essi compaiono all’interno di un resoconto storico. Ma nel Sutra del Loto, sebbene ci siano brevi riferimenti agli eventi storici, il lettore comprende fin dall’inizio che i miracoli hanno luogo all’interno di un racconto. E tali racconti sono degli espedienti, degli abili mezzi, per impartire gli insegnamenti. Non hanno la pretesa di essere dei resoconti storici. È importante precisare che in esso non viene in alcun modo smentito o definito obsoleto “l’insegnamento storico” del Budda Shakyamuni, in quanto vengono riaffermati le quattro Nobili Verità, l‘Ottuplice Sentiero e i tre Gioielli (Budda, Dharma-Legge Suprema, Sangha-Comunità).
Tradizionalmente sono due i capitoli considerati centrali in questo sutra: il capitolo II, e il capitolo XVI, che peraltro risultano tra le parti più antiche dello stesso sutra. Nel capitolo II, dietro l’insistenza del discepolo Śāriputra, il Budda espone il Dharma descrivendo semplicemente la realtà per come essa è. Ciò significa imparare a porre in continuo contatto la propria esistenza (= Realtà convenzionale di essere sofferente) con la Realtà assoluta (= Vacuità dell’esistenza). Solo per mezzo di questo incontro, che si realizza con le pratiche meditative (delle scuole Tiāntái e Tendai o la recitazione del daimoku per il buddismo Nichiren), si può raggiungere la “Terza Verità, quella ultima” la quale, essendo “ultima”, deve necessariamente comprendere sia la “Verità assoluta” che quella “convenzionale” (individuale e mondana).
Nel capitolo XVI il Budda Śākyamuni dichiara che egli non è soggetto a morte ma, come Tathāgata (= manifestazione del Budda), è sempre esistito e sempre esisterà. Tutti gli esseri hanno in sé la natura di Budda e possono operare per “realizzare” questa natura, che quindi è per loro una ricchezza interiore concretizzabile (capitolo XX del Sutra del Loto). La predica-sermone, di cui si narra nel sutra, è frequentata non soltanto dagli esseri umani ma da ogni sorta di esseri provenienti da infiniti mondi. In tutto il testo, i Budda e i bodhisattva vengono in questo nostro mondo per chiedere al Budda Śākyamuni d’illustrare il Sutra del Loto, che qui equivale al Dharma. È nel mondo saha che i Budda e i bodhisattva degli altri mondi e degli altri tempi vengono a lodare Śākyamuni. Il mondo saha è il nostro’ mondo, la Terra, luogo dove tutti sono soggetti al ciclo di nascita-morte (= Saṃsāra), un mondo corrotto, ma anche potenzialmente puro, dove gli esseri si debbono esercitare nella pazienza e nella sopportazione, con piena compassione per tutti gli esseri viventi.
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