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Mahakumbhamela di Prayaga

Mahakumbhamela di Prayaga

INDICE:

  • Prayaga, il “luogo del sacrificio”
  • Il Mandala di Prayaga
  • Cosa dicono i poeti
  • Cosa dicono gli scienziati
  • Da secoli, sempre una folla immensa
  • Considerazioni sull’evento più vasto del pianeta

 

Mahakumbhamela, uno Yogi verso il Sangama

Mahakumbhamela, Naga dopo l’abluzione

Maestro Naga, Mahakumbhamela

Prayaga, il “luogo del sacrificio” 

Prayaga, ovvero il ‘luogo del sacrificio’, nella tradizione vedica è un sito di sacralità assoluta, tanto che nella tradizione lo si considera superato da questo punto di vista solo dal monte Kailash: per questo motivo al Triveni, la confluenza dei fiumi, si incontra sempre un gran numero di pellegrini. Nella ricorrenza astrologica dei Kumbhamela la sacralità del luogo si espande poi ulteriormente in modo infinito facendo convergere qui fiumi di persone desiderose di cogliere la grandiosa opportunità di purificare il proprio karma ed entrare in connessione con le sfere più sottili del cosmo. Anche durante l’Ardhmela, ovvero la celebrazione che si svolge a metà del ciclo astrale del Kumbhamela, l’aggregazione è fenomenale, con la partecipazione di milioni di persone anche in quella che è una ricorrenza minore. L’apice è stato fino ad oggi raggiunto al Mahakumbhamela del 2001, quando giunsero al Triveni circa 50 milioni di persone!

La centralità del luogo e la straordinaria valenza per gli induisti delle date della congiunzione astrale fa sì che sia solo qui, ogni 12 anni, che gli adepti possano entrare a far parte degli ordini dei cosiddetti ‘yogi militanti’, i mitici Akhara, che sono rimbalzati oggi a notorietà nei media per via dell’aspetto selvaggio dei loro Naga Sadhu. Da molti secoli, sicuramente almeno dal IX, il Kumbhamela di Prayaga è anche il più importante momento di incontro tra tutte le componenti del vasto e variegato mondo induista.

Ma perché nel 2001 il colossale raduno si chiamò “Mahakumbhamela” ? ‘Maha’ significa grande, maestoso, immenso: il motivo era che ogni 12 cicli astrali la ricorrenza è particolarmente favorevole. Per il prossimo ‘maha’ attendiamo così l’anno 2145, perché si verifica ogni 144 anni.

In questa parte del sito trovate anche altre pagine che narrano diversi aspetti del grande incontro del Mahakumbhamela, incluso il documentario che fu realizzato in collaborazione con Fabula di cui abbiamo anche riportato i relativi testi, una raccolta di interviste ai diversi personaggi che lo popolano e la e la testimonianza di una persona di Amitaba che ne ha seguito l’intero svolgimento.

Il Mandala di Prayaga 

“Prendete una corda lunga 5 miglia e mezza, e facendo centro sul Brahmayupa [il Triveni, la confluenza dei fiumi] tiratela e spostatela in tutte le direzioni in modo da formare un cerchio: il territorio così delimitato è lo spazio sacro’.

Questo spazio contiene la confluenza di due fiumi sacri, il Gange e lo Yamuna, e del terzo mitico fiume che scorre sotto terra che solo l’occhio della fede riesce a vedere: il Saraswati. E’ lo spazio del Mandala di Prayaga, il terreno sacro che nei momenti di auspicio ospita gli dei e dove si manifestano le forze sottili dell’universo. Il centro del Mandala è là dove le acque dei due fiumi si toccano, dove tutti dalla prima luce incerta del giorno cercano di convergere accalcandosi, e rappresenta il centro della creazione. Questo punto geografico per i devoti è il luogo per eccellenza nel quale assicurarsi l’immersione nella mente divina. Si pensi che questa fiducia arrivò a creare una mistica del suicidio rituale: alcuni ritennero che privarsi della vita qui riscattasse le sette generazioni che li avevano preceduti e le quattordici che li avrebbero seguiti, oltre ad assicurare il definitivo superamento del ciclo delle rinascite. Un modo molto estremo di vivere il significato di ‘sacrificio’ che ha il nome del luogo, ‘Prayaga’, che fu poi vietato per legge dagli imperatori Moghul.

Cosa dicono i poeti

Un poeta del XVI secolo così descrive il Triveni:
“I granelli di fine sabbia brillano come se gli stessi dei del cielo, in sottilissimi corpi, fossero al servizio del luogo. Di sera, le fiamme delle lampade riflesse nell’acqua sembrano dee che si bagnano. Il Triveni è come un ponte sull’oceano dell’esistenza terrena… Esso cura gli uomini dai mali del corpo e risparmia loro la morte… Porta i peccati nel mondo sotterraneo… Il Triveni è bello come la più eccelsa cima della terra. È come una strada che porta al cielo, è la forma acquea del Signore eterno. È la fonte di ogni splendore e benedizione. Il Triveni appare come un oggetto meravigliosamente casto e compiuto, che col suo solo tocco lava gli infiniti peccati delle creature”. 

Ed un altro autore:
“La corrente del Gange mescolata con le onde dello Yamuna in un punto sembra una fila di perle disseminata di lucenti zaffiri, in un altro punto è simile a una ghirlanda di loto bianco intrecciato col loto azzurro… Il Gange è bianco perché ha vissuto nel grembo della madre, l’Himalaia nevoso. Lo Yamuna è nero a causa del caldo rovente del Sole, suo padre”.

Cosa dicono gli scienziati

Ma è tutto solo leggenda? La mistica dell’acqua purificatrice è molto in contrasto con il suo aspetto, un fluire liquido dal colore terroso, dove milioni di piedi, mani, corpi, vesti continuano ad immergersi, con i devoti che lavano i panni e raccolgono l’acqua per portarla alle persone care che non sono presenti. Un fatto però è sorprendente: l’abluzione di milioni di persone nella stessa acqua non sembra produrre malattie della pelle, né infezioni od altro. Si aggiunge una specifica rilevazione fatta dai ricercatori indiani: hanno accertato le virtù particolari del luogo misurandone anche la radioattività: alla confluenza è molto superiore della somma dei due valori rilevati nei corsi d’acqua che convergono.
Sicuramente non per queste considerazioni razionali ma per fede quasi tutte le persone fanno un’abluzione completa, immergendosi completamente nell’acqua almeno tre volte. Alcuni preferiscono limitarsi a toccare l’acqua con la mano ed a porla sulla fronte, come ci dice ad esempio Sri Ramesh, uno yogi di scuola Shakta che vive proprio ad Allahabad.

Da secoli, sempre una folla immensa

Già nel VII secolo troviamo la testimonianza di Huan-Tsang, un pellegrino buddista cinese nel 644 stimò la presenza al Triveni di circa mezzo milione di pellegrini appartenenti a tutte le caste e convenuti da varie parti dell’India.
In epoca più recente troviamo la testimonianza di un capitano inglese che nel 1796 contava due milioni e mezzo di persone. Fu poi proprio l’amministrazione inglese a rendersi conto che tanto lo spazio fisico, quanto la moltitudine e la relazione gerarchica fra gli individui e le sette nel contesto del fenomeno religioso avevano bisogno di un’organizzazione. Così, nel 1882, ad ogni corporazione ascetica fu assegnato uno spazio fisico per erigervi un villaggio provvisorio dove alloggiare i suoi membri e piantare una bandiera. Si legge da un testimone dell’epoca “… Nei tre giorni destinati al bagno ciascuna delle sette vi si recò separatamente in processioni formali, il cui aspetto più notevole erano i corpi nudi dei fachiri che chiudevano le processioni delle prime due sette…”.
Già all’inizio del XIX secolo al Sangama per il Kumbhamela nasceva una città. Scrive nel 1906 Sidney Low: “Una città provvisoria, d’accordo, ma una delle più grandi città del mondo, più popolosa di Pechino o Vienna, con tanti abitanti quanti ne hanno Liverpool, Manchester e Glasgow messe insieme”.
Nella seconda metà del XX secolo la progressione numerica è stata impressionante: 6 milioni di persone in una sola giornata nel 1954; 13 milioni nel 1977; ma le cifre continuano a salire, fino ai cinquanta milioni del 2001.

Considerazioni sull’evento più vasto del pianeta

A partire dagli anni 80 del secolo scorso è stata destinata al Kumbhamela una vastissima area che si protende lungo le sponde del Gange e dello Yamuna, divisa in settori a ciascuno dei quali sono assegnati un magistrato, un ufficiale di polizia ed un ufficiale medico per i servizi sanitari. Il flusso di massa nelle giornate principali è regolato con precisione svizzera; sono stati anche costruiti appositi cavalcavia per evitare che i fiumi di persone di incrocino ed un ampio insieme di infrastrutture, semplici ma funzionali. È interessante a questo proposito leggere quanto disse sulle problematiche organizzative del Mahakumbhamela del 2001 il Divisional Commissioner che oltre ad aver fatto predisporre ospedali da campo, pozzi per l’acqua e pianificato gli approvvigionamenti, era al comando di 100.000 soldati e 25.000 poliziotti: una vera e propria armata, che doveva in particolare garantire l’assenza di incidenti negli spostamenti di massa. Fu un pieno successo; l’unico incidente fu un tafferuglio tra polizia e giornalisti a causa delle immagini poco rispettose dei Sadhu nudi che vennero divulgate da Channel Four in Gran Bretagna e che portarono ad una proibizione delle riprese per alcuni giorni.

Ma al di là di ogni accorgimento ‘pratico’, come è possibile che in un medesimo luogo vivano trenta, quaranta, cinquanta milioni di persone per giorni e giorni; e che nessuno si accoltelli? Se immaginiamo una minima frazione di una tale massa in un qualsiasi paese occidentale, ci parrebbe già di sentire l’urlo del “tocca a me”, “ci sono prima io”, “spostati”, “tu che vieni da quella zona di brutta gente”, “quelli come voi sono sempre i soliti” ed a seguire qualche bella rissa…. La spiegazione ha una natura religiosa, nella motivazione di chi giunge a Prayaga pronto ad affrontare pazientemente ogni disagio. Lo sforzo organizzativo, per quanto massiccio, è adeguato grazie alle esigenze elementari dei fedeli. Intere famiglie che si contentano di dormire per terra in un angolino di spazio e di mangiare le cose più semplici, felici di celebrare il rito, innalzare le preghiere, osservare da vicino, ascoltare e seguire le figure degli yogi, degli Swami, dei Naga. Una coesione generale che rende ciascuno umile di fronte al divino, che rende ciascuno il membro di una vasta famiglia universale.

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