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Il meraviglioso mondo del Tibet offre fantastiche possibilità di contatto con realtà oltre i confini di storia e leggenda. Ma cosa si intende per “luoghi di potere”?
Per i tibetani sono punti dove vi è una forza spirituale particolarmente potente. Questa energia può essere generata dalla presenza di entità che ivi risiedono o può essere stata attivata dal soggiorno in quel luogo di praticanti spirituali che abbiano raggiunto elevate realizzazioni. Alcuni studiosi imputano questa visione di una presenza di potere spirituale nei luoghi fisici ad un retaggio dell’anima Bön, la forma religiosa originaria del Tibet che tesseva un universo percettivo popolato di innumerevoli presenze: divinità e demoni che erano responsabili delle interferenze nella vita degli esseri umani. Gran parte del lavoro dagli antichi sacerdoti consisteva in esorcismi di vario tipo, necessari per garantire salute, benessere e raccolti.
Questa profonda radice ha colorato fin dalle origini anche la cultura buddista tibetana, che, leggiamo nei loro testi, nacque e si stabilì grazie alle lotte magiche di Guru Padmasambhava contro i demoni del Tibet e grazie alla costruzione da parte del primo Re del Dharma, Songtsen Gampo, di 108 templi posizionati in luoghi geomantici corrispondenti ai punti del corpo di una mitica orchessa che soggiogava il Tibet col suo potere negativo e doveva essere domata, ed il cui cuore era posizionato in corrispondenza della cattedrale del Jokhang a Lhasa.
È evidente anche solo da questa origine che nel contesto del Tibet la storia non è scindibile da quanto per noi può apparire leggenda, e che in quel mondo i confini tra ciò che è materiale ed i fenomeni psichici è compreso in modo molto diverso rispetto ai nostri parametri occidentali. Infatti nella pratica quotidiana di tutte le culture di lingua tibetana, quindi anche ad esempio in Ladakh o in Bhutan, è preponderante la presenza di rituali che hanno la duplice interpretazione di spiccato contenuto esorcistico o propiziatorio frammista a insegnamenti di precetti tradizionali: i grandi Cham ne sono l’esempio più famoso (si vedano su questo tema le pagine dedicate ai Cham del Bhutan). Il Dalai Lama a questo proposito sovente, durante gli insegnamenti rivolti ai tibetani, ridicolizza in modo bonario il comportamento eccessivamente superstizioso, ridendo serenamente di chi esegue dei veloci inchini di fronte alle statue del Budda ma si stende a terra in profonde prostrazioni e pone offerte alle divinità di protezione.
Questo universo popolato da molteplici forze offre ai tibetani diverse possibilità di interazione con l’energia spirituale utili per proteggersi dalle interferenze e per districarsi nelle scelte, dal modo considerato più elevato, che è il contatto con il proprio Lama di riferimento, alla richiesta di un intervento da parte di un monaco astrologo, o più semplicemente ricorrendo a interventi divinatori e oracolari. Si tenga presente la completa legittimità culturale di ognuna di queste pratiche: i grandi oracoli sono utilizzati in alcuni casi anche dai Lama, ad esempio per identificare la rinascita di un maestro, o dalle autorità laiche, come è il caso dell’Oracolo di Nechung, la cui sede a Dharamsala è ubicata nella stessa area degli uffici del governo tibetano in esilio.
Per la generazione di energia karmica positiva, ovvero l’accumulo di azioni meritorie che sono la materia prima necessaria per una trasmigrazione fortunata, ci sono diversi metodi che variano in funzione della capacità spirituale di ciascuno: il pellegrinaggio nei luoghi di potere è considerato, tra gli atti alla portata di tutti, uno dei più potenti, ed è eseguito anche dai grandi Lama. La qualità del luogo prescelto è importante perché amplifica la devozione rendendola più efficace e consente ai meditatori che praticano in quel punto di ottenere delle realizzazioni più rapidamente. Questo è il motivo per cui è facile incontrare pellegrini impegnati nella circumambulazione e che eseguono riti di offerta nei luoghi di potere, in particolar modo nelle date considerate di buon auspicio.
Sulla base di queste considerazioni si può ben comprendere perché i luoghi di potere sono una parte molto importante della cultura tibetana. E, per chi è interessato a questa cultura, recarvisi offre un’ottima possibilità di avvinarla in uno dei suoi aspetti più intimi.
Per accedere ai “luoghi di potere” serve solo una certa preparazione culturale e la motivazione sufficiente che consenta di superare i disagi, a volte inevitabili, per raggiungere luoghi fuori dal contatto turistico situati spesso in località remote le cui caratteristiche geomantiche sono state individuate nel corso dei secoli da esseri dotati di qualità straordinarie, e scelti anche per l’incomparabile bellezza naturale, Qui spesso è possibile incontrare monaci in ritiro ed a volte anche degli yogi eremiti. Fortunatamente non tutte queste mete sono così difficili da raggiungere, come si può leggere nella pagina Rinascita spirituale a proposito di Drak Yerpa, Tashidor e degli eremi di Samye.
Non esiste una classificazione o un elenco dei luoghi di potere del Tibet; prima dell’invasione cinese c’erano solo alcune guide per pellegrini che fornivano indicazioni sui siti principali di alcuni circuiti. Keith Dowman ha utilizzato alcune di queste fonti per scrivere dei libri interessanti, di cui “Luoghi di potere del Tibet Centrale” è forse il meglio riuscito. In senso lato ogni luogo in cui troviamo dei muri mani, dei chorten, dei luoghi di pratica spirituale, degli altari ai Lha, dei monasteri o anche solo dei semplici tsa tsa è un luogo di potere, che viene sempre scelto in funzione di questa qualità e trattato con corrispondente rispetto.
Per fare un esempio importante, i monasteri vengono quasi sempre posizionati dove un Lama ha visto particolari segni di auspicio o dove ha meditato uno yogi. Prima di procedere alla fondazione, che avviene comunque in base ad un verifica astrologica del momento di maggior auspicio, vengono celebrati particolari riti per avere il benestare per la costruzione da parte delle entità residenti in quel luogo, per ottenerne l’ alleanza ed evitarne l’ostilità. Vengono quindi eseguite cerimonie e danze di esorcizzazione del luogo per purificarlo e generare un’aura di protezione; questa cerimonia viene poi ripetuta ogni anno, spesso come parte del Cham [le danze rituali con maschere e costumi] del monastero, per rigenerare l’energia di protezione del luogo sacro così consacrato. Nel rispetto di queste forze all’interno di ogni monastero viene sempre allestito un tempio, il Gonkhang, dedicato alle entità di protezione, che impressiona spesso il visitatore per le figure tetre, le immagini sanguinarie e le armi che spesso vi sono esposte, dove quotidianamente vengono eseguiti riti e portate offerte, anche di bevande alcoliche se si ritiene che possano essere gradite dalle entità. Il procedimento qui esemplificato è piuttosto strutturato, ma nella sostanza è analogo a diversi casi: si pensi ad esempio che le case stesse sono sempre costruite seguendo simili procedure e che parte delle cerimonie matrimoniali in molte regioni sono volte a chiedere l’assenso del Lhu, lo spirito protettore della casa, affinché non ne abbia a male se una persona va a vivere altrove.
Al di là di questo stretto rapporto tra dimensioni visibili ed invisibili che caratterizza in modo così diffuso il Tibet e ne impreziosisce il territorio con una profusione di oggetti di devozione, cominciando dalle allegre bandiere di preghiera colorate, esistono dei luoghi di potere considerati di particolare potenza ed infinito auspicio, che ripagano largamente ogni sforzo fatto per raggiungerli. Ci sono tuttavia anche luoghi che vanno generalmente evitati per via della forte presenza di entità che possono esserci ostili. Tra i luoghi più importanti troviamo molte montagne, di cui solitamente viene evitata la vetta per non recare disturbo alle entità residenti, e laghi, dove i tibetani non si immergono per non contaminare la purezza delle acque. I fiumi, a differenza della tradizione indiana, sono raramente venerati e solitamente temuti come luoghi dove dimorano pericolosi e potenti Naga (spiriti serpente). Un altro vasto insieme di luoghi di potere sono le grotte di meditazione dei maestri ed infine alcuni dei principali luoghi di culto.
In Tibet esistono centinaia di monti sacri, ciascuno dimora di una diversa entità. Senza voler snobbare alcuni dei principali, dallo Zhara Lhatse al Kawa Karpo e Dabpa Lhari nel Kham o al Nyenpo Yurtse in Amdo, secondo la nostra ricerca i principali sono cinque, nel senso che queste sono le montagne sacre che attraggono persone da ogni parte del Tibet; in ordine d’importanza:
In Tibet sono moltissimi gli specchi d’acqua a cui vengono attribuite particolari qualità. Non vi sono però dubbi sull’importanza universale di almeno cinque di questi:
Le grotte di meditazione e gli eremi sono i luoghi dove nei secoli l’essenza culturale del Tibet ha trovato il proprio compimento: tutte le più importanti figure di riferimento di ogni scuola religiosa, sia buddista che bön, e la gran parte dei personaggi storicamente rilevanti hanno passato almeno parte della propria vita meditando in solitudine in qualche grotta o eremo, lontani dal divenire ordinario del mondo. I maestri tibetani hanno ripetutamente insegnato che la pratica meditativa intensa e prolungata svolta in isolati luoghi di potere è l’unico strumento che consente un decisivo passo qualitativo nel ciclo delle esistenze. Nella tradizione e nel folklore i grandi adepti e maestri di meditazione realizzati della statura di Padmasambhava, Atisha, Milarepa e innumerevoli altri sono rappresentati come i testimoni del massimo obiettivo perseguibile, e tutti questi hanno trascorso gran parte delle loro vite in luoghi di ritiro. Quasi tutti ne hanno sempre condiviso gli ideali, e chi non è riuscito a cimentarsi direttamente con le austerità necessarie ne ha sempre ammirato la capacità. Questa potentissima spinta ideale che ha agito attraverso tutta la storia rende più facilmente comprensibile perché in Tibet esista un così vasto numero di luoghi di questo tipo. L’invasione cinese non ha risparmiato neanche questi, tranne che in alcuni rari casi di siti che sono rimasti segreti; la gran parte di questi non era comunque molto strutturata, si trattava spesso di umili ripari o di grotte magari chiuse da un muretto, quindi in questi ultimi anni per i tibetani è anche stato abbastanza semplice ripristinarli.
Stante tutto questo sarebbe decisamente arbitrario menzionarne alcuni a scapito di altri ed enunciare un ordine di importanza, perché ogni scuola religiosa tibetana ha un proprio insieme di luoghi di ritiro di riferimento, dove hanno praticato i maestri del suo specifico lignaggio iniziatico. Alcune figure però sono di riferimento generale, e sicuramente rivestono questo ruolo Padmasambhava e Milarepa. Ma se dovessimo contare quanti luoghi di potere sono attribuiti a queste due figure arriveremmo ad un numero incredibile, in particolare con riferimento a Padmasambhava, Guru Rimpoce per i tibetani: nei propri viaggi di ricerca Amitaba ne ha rilevati qualche centinaio! Questa moltiplicazione ha a che fare con la fede semplice e sincera della gente, che non ha dubbi sulla presenza del grande Guru nel tal o tal altro posto: e in effetti, da un punto di vista dottrinale, ciò non fa una grinza, in quanto un essere illuminato può manifestarsi in ogni luogo ed in ogni tempo per essere di aiuto agli altri. Per chi ha invece un approccio più direttamente storico si può individuare un numero più ristretto di siti che furono quasi certamente utilizzati da Guru Rimpoce e dalla sua consorte mistica Yeshe Tsogyel anche con i corpi fisici. Tra questi sono di particolare interesse:
I luoghi di culto del Tibet sono per la gran parte costruiti in siti scelti perché considerati di buon auspicio. Le ragioni principali sono il soggiorno avvenuto in quel punto di un santo della tradizione, la presenza di entità di protezione, le qualità geomantiche e, spesso, un insieme di queste cose. Quindi da questo punto di vista sono considerati luoghi di potere e quasi tutti meritevoli di essere almeno circumambulati. Alcuni hanno un particolare valore e sono meta di pellegrinaggio da parte di persone provenienti da tutte le regioni del Tibet, e primi tra tutti sono la cattedrale del Jokhang e il Potala a Lhasa. Fornire un elenco dei siti più venerati è abbastanza arbitrario, ma alcuni sono indiscutibilmente di valore universale per la cultura tibetana:
Nel Tibet Occidentale vi sono molti eremi e grotte di meditazione, ma non grandi centri di culto.
Un modo interessante di visitare questi siti è farlo in occasione dei festival che vengono organizzati in molti dei principali; si tenga presente in molti casi non esiste una pianificazione ufficiale e gli eventi seguono i ritmi del calendario lunare tibetano, quindi le date di esecuzione variano un poco di anno in anno; è quindi necessario verificare per tempo tramite fonti locali le date esatte. Amitaba è disponibile a verificare per i propri viaggiatori queste ricorrenze; vedi anche la pagina Festival del Tibet.
Come abbiamo visto nel Tibet vi è una profusione di luoghi di potere, legati ad affascinanti leggende e vicende della storia. Un modo molto bello di avvicinare il Tibet, quantomeno dopo che si sono visitati i siti principali, è seguire dei percorsi legati a delle saghe, ad esempio visitando i templi geomantici che soggiogarono l’orchessa del Tibet, di cui il primo è proprio il Jokhang di Lhasa. O percorsi legati alla vita e alla pratica di specifici Bodhisattva e maestri, come Atisha e Milarepa, oppure ancora recarsi nei luoghi taumaturgici particolarmente famosi, come il Lhamo Latso, il Lago dell’Oracolo. Nel Tibet Classico ad esempio un circuito interessantissimo a cui si è già accennato è legato alle vicende di Guru Rimpoce, il grande maestro Padmasambhava giunto dalla terra di Uddyana per portare gli insegnamenti di Dharma nel Paese delle Nevi e della sua misteriosa consorte mistica, Yeshe Tsogyel, regina del Tibet, che utilizzarono per le proprie pratiche segrete un insieme di luoghi di potere ubicati in posti stupendi. Un altro approccio interessante sono i circuiti di pellegrinaggio, di cui i più famosi comportano dei percorsi a piedi attorno alle montagne sacre, come il Kailash, l’Amnye Machen o il Bon Ri. Se si scelgono le date di maggior auspicio, ad esempio per Saga Dawa al Kailash, è usuale seguire questi sentieri insieme a folti gruppi di pellegrini tibetani, avendo così la possibilità di condividerne pienamente l’atmosfera. Chi predilige invece la solitudine nelle date “normali”, in particolar modo lungo i circuiti meno famosi, avrà spesso l’opportunità di avere il Tibet ‘tutto per sé’.
Per apprezzare appieno questo approccio alla cultura e all’ambiente del Tibet è importante affrontare questi percorsi con lo spirito del pellegrino condividendo almeno in parte la visione che li anima, e in molti casi è necessario avere un buono spirito di adattamento e capacità di camminare.
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