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La Mongolia è un vasto paradiso naturale dove un terzo della popolazione vive ancora secondo le regole ancestrali del nomadismo di transumanza, accudendo circa 65 milioni di animali senza possedere neppure una stalla. La capitale, fino all’avvento del periodo sovietico negli anni ‘20, era costituita da un mare di gher, le tipiche tende mongole, e da poche costruzioni dedicate alle funzioni religiose. Questa simbiosi con l’ambiente, neppur mediata da semplici mura, a contatto con gli elementi ed i ritmi del divenire delle stagioni, ha corroborato l’incredibile forza d’animo della gente, facendone un popolo che ha avuto la capacità di partire a cavallo dalle sue vaste steppe per conquistare con la carismatica guida del Grande Khan buona parte dell’Asia.
Questo spirito fortissimo, imbevuto della familiarità con le forze della natura a cui ha sempre avuto accesso tramite i propri potenti sciamani, nella storia si unì alla saggezza del buddismo tibetano, a cui i grandi imperatori mongoli si erano rivolti per ampliare la propria visione delle cose, venendo così a definire un’entità culturale decisamente unica. I tibetani ebbero la propria metamorfosi nell’VIII secolo, assimilando le sofisticate filosofie dell’India nel proprio mondo di guerrieri spietati; e quando i mongoli furono a loro volta i signori del mondo, ne appresero i già ben digeriti contenuti ispirati anche da Zanabazar (1635-1723), il “Leonardo da Vinci” dell’Asia, riconosciuta reincarnazione del grande studioso e mistico tibetano Taranatha.
L’insieme quasi sincretico di queste forze ha plasmato la cultura dei mongoli fino all’avvento del periodo sovietico, che ebbe inizio nel 1921.
Gli anni ’30 del secolo scorso hanno visto il perpetrarsi di spietate carneficine e distruzioni, quando vennero uccisi 17.000 tra monaci, Lama e studenti, e distrutti tutti i monasteri (ne vennero risparmiati solo 4 su 700).
In questi anni difficili, mentre la parte più istituzionale della tradizione mongola venne completamente decapitata, la cultura sciamanica che ne era parte integrante fu ben più difficile da eliminare, perché diffusa e non palpabile, condivisa da un popolo che viveva in piccoli gruppi sparsi su di un territorio immenso. Sono così sopravvissute ed oggi ritroviamo appieno tradizioni e rituali che hanno origine nella notte dei tempi.
Dal 1990 è tornata la possibilità di esprimere senza timore le proprie convinzioni religiose e culturali, e sorprende la vitalità, la profondità e la capillarità con cui questo avviene a dispetto dei tentativi per estirparle. Nonostante le tremende difficoltà economiche patite in seguito alla caduta dell’impero sovietico, il mondo culturale mongolo oggi è in fase di ripresa. (Per maggiori dettagli si consulti la pagina sulla religione).
Anche l’istruzione monastica vera e propria sta ricominciando ad attivarsi. È interessante notare che in questo ambito i mongoli si sono rivolti per richiedere un aiuto proprio agli esuli tibetani, rifacendosi, in un certo senso, ad un archetipo della loro storia: molti Lama tibetani visitano spesso la Mongolia per dare insegnamenti e nel 2018 si contavano già più di 10.000 monaci e circa 150 tra templi e monasteri, di cui molti sono costituiti ancora solo da una semplice gher.
Su queste basi, il quadro che si presenta oggi è molto interessante, con alcune grandi ricorrenze che coinvolgono l’intero Paese, in special modo Tsagaan Tsar, il Capodanno Lunare, e la Festa di Naadam, che è diventata anche una celebrazione dell’indipendenza ed un momento di affermazione dell’identità del glorioso passato. Si incontrano anche un gran numero di eventi di rilevanza meno generale, tra cui i più noti sono forse il Festival del ghiaccio al lago di Khubsugul, che si tiene nel periodo del Capodanno Lunare, il Festival dei cammelli bactriani a Bulgan e il Festival delle aquile dei kazaki dell’ovest, che si cimentano nella caccia con questi maestosi rapaci. Oltra a questi grandi eventi avviene anche un gran numero di attività e celebrazioni a carattere più locale, e tra queste molte hanno un forte contenuto sciamanico.
Nei luoghi dove si sono riformate le comunità monastiche vengono eseguite le danze rituali Tsam, con l’utilizzo di maschere e costumi, eseguite in modo simile a come avviene nelle regioni di cultura tibetana.
Ad Ulaanbataar è facile assistere a rappresentazioni di musica e canzoni tradizionali, incluso l’interessante canto armonico (o difonico).
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