La presenza di questa nuova strada, che serpeggia nella Kali Gandaki oltre Jomoson e fino al cuore dell’Alto Mustang, ha causato in molti di noi un mare di riflessioni e in modo particolarmente intenso per noi persone di Amitaba ha stimolato una valutazione attenta sul da farsi: la tentazione a pelle era di ‘tenersi fuori’ e non usare le jeep per andare in un luogo che amiamo nella sua incredibile purezza. Alla fine si è deciso che questo era un atteggiamento errato, per i motivi che seguono, ed abbiamo così organizzato il primo viaggio con mezzi meccanici a Lho Manthang a maggio del 2015; pochi giorni prima della partenza è poi intervenuto il disastro del terremoto, ma alcune persone decisero di recarvisi comunque per riportare una testimonianza di quanto era accaduto.
L’organizzazione di quel viaggio ha stimolato diverse reazioni, abbiamo ricevuto da alcuni viaggiatori messaggi preoccupati per l’apertura della strada e un’amica si è anche chiesta se le persone di Amitaba, utilizzandola, dessero un contributo a demolire la bellezza di un’area remota. Da appassionato esploratore himalaiano e studioso delle culture di queste regioni, mi sono quindi sentito in dovere di esternare la mia sincera opinione su questo.
Senza essere prolisso… come una tematica di tal portata effettivamente potrebbe richiedere.
Ho avuto la fortuna di essere il primo occidentale a percorrere diverse valli himalaiane, anche in Nepal. Già nell’80 mi sembrava però evidente che il solo fatto di ‘esistere’, cioè di percorrere sentieri lontani raggiungendo isolati villaggi, fosse di per sé un fattore che induceva un cambiamento perché testimoniava a chi aveva sempre vissuto lassù che oltre l’orizzonte dei meravigliosi monti perlati di neve c’era un mondo a loro sconosciuto: anche solo per gli oggetti che avevi, da una macchina fotografica a scarponi che a te consentivano di camminare asciutto sui ghiacciai.
In questi anni le strade si sono ramificate, e le valli prive di accesso motorizzato sono diventate ormai poche: chi ama il trekking ben lo sa! Alcuni di noi conservano ricordi nostalgici di come fossero pristine intere regioni, e si è guardato l’avanzare delle jeep come un lento cancro che distrugge un mondo che per noi era ideale, lontano da motori e abitato da gente povera ma sincera.
Ma parlando con le ‘semplici persone felici’ che vi abitavano le esigenze che ci manifestavano erano oltremodo concordi: l’arrivo di scardinate corriere era l’inizio di un fortemente desiderato miglioramento delle condizioni di vita per la facilità di eseguire scambi, accedere a istituti di istruzione e ricevere supporto medico. Tant’è ad esempio che nel Bhutan il piano di sviluppo ventennale in corso ha tra le priorità di collegare i villaggi remoti; o ad esempio in India la strada che collegherà Leh allo Zanskar avanza lungo le gole ed è attesa con grande aspettativa, per poter raggiungere il Ladakh in inverno (…senza camminare sul fiume gelato, come chi ha fatto il trek di Chadar ben sa!). In questo graduale processo molti visitatori hanno colto l’opportunità di dare un loro contributo diretto, con progetti di collaborazione: vi sono un gran numero di associazioni che da lungo tempo si sono adoperate in questa direzione, inclusa Amitaba. Il rispetto culturale in questo ambito è stato particolarmente importante: ci si è guardati negli occhi, si è riscontrata solo una differenza di mezzi materiali, e spesso siamo stati noi ad imparare.
Per contro, posso purtroppo testimoniare che molte persone arrivate nei luoghi raggiungibili solo a piedi si sono atteggiate come invasori del mondo, manifestando pessimi ed irrispettosi esempi di comportamento, pretendendo ogni cosa in forza di un portafoglio gonfio, fotografando le persone come fossero in uno zoo, deridendo le abitudini locali e misurando ogni cosa col metro di una malcelata arroganza.
In forza di queste esperienze ritengo quindi che non è tanto ‘con cosa’ si arriva in un luogo, ma ‘come’. E da questo punto di vista le persone che viaggiano con noi sono sempre state un ottimo esempio di come ci si può avvicinare in modo positivo alle culture degli altri. Sono pertanto contento di poter offrire a chi non ha avuto l’opportunità di camminare fino a Lho Manthang la possibilità di fare un viaggio che consenta di godere dell’incantevole ambiente naturale usufruendo della jeep: ora la strada c’è, ed è meglio che porti fin là persone che apprezzano il mondo e il suo ambiente con rispetto, e consenta (finalmente) anche a chi non è un atleta del trekking di arrivarci.
Un rischio potrà esserci: il re del Mustang, che presenzia il festival del Tiji a Lho Mathang, avrà ora molto probabilmente un ‘i-pad’ o qualche altro diabolico aggeggio in mano… Ma non mi sembra sia il caso di disperare per questo: ormai vedo tutti sempre più indaffarati sui tastini ovunque nel mondo…
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