Kalachakra 2000 a Ki Gompa
SS il XIV Dalai Lama ha scelto per questa prima trasmissione del nuovo millennio un luogo remoto e magico: il monastero himalaiano di Ki, nel cuore della regione dello Spiti (Tibet Indiano). Qui ha svolto quello che può essere ritenuto il più importante rito iniziatico della tradizione tantrica Buddista: il Tantra di Kalachakra, che ha una particolare connessione con la dimensione mistica della Terra Pura di Shambala.
L’iniziazione viene conferita secondo precisi criteri astrologici; nell’anno 2000 il monastero di Ki fu il punto ideale per realizzare la connessione con questo mitico regno.
Lo scopo era contribuire, anche grazie all’attivazione di forze esoteriche, alla pace nel mondo.
(Per informazioni storiche e sui contenuti ci si può collegare a questa pagina: Kalachakra).
In queste pagine abbiamo riprodotto la storia di un evento che fu magico, con immagini e spiegazioni di quanto è successo: per capire nel concreto come si svolge questo coinvolgente rituale. Nella Galleria fotografica è inserita una documentazione visiva più completa.
Il racconto degli eventi che si svolsero a Ki Gompa è diviso nelle seguenti sezioni:
- La Sacra Dimora di Kalachakra: Predisposizione dello spazio magico per la preparazione del Mandala.
- Consacrazione del luogo: I rituali di purificazione e preparazione del luogo in cui si conferirà l’iniziazione.
- Danze rituali: Le danze eseguite nel primo giorno di preparazione.
- Creazione del Mandala: Le metodologie utilizzate per la creazione del grande Mandala di sabbia.
- Insegnamenti introduttivi: Le spiegazioni di Dharma offerte da SS il XIV Dalai Lama ai presenti.
- L’iniziazione: Le fasi preparatorie e gli stadi susseguenti della trasmissione.
- Le danze popolari: I momenti di aggregazione festosa dei partecipanti.
- Il monastero di Ki: Cenni sulle origini e storia di questo bel monastero himalaiano.
- Il campo tibetano: Il vasto campo dei pellegrini sulla piana sottostante il monastero di Ki.
- I partecipanti italiani e il nostro campo: Il luogo in cui si visse per 2 settimane a 4000 mt, nel cuore dell’Himalaia dello Spiti.
- Racconti dei partecipanti: Osservazioni e storie di due delle persone che parteciparono.
La Sacra Dimora di Kalachakra
Predisposizione dello spazio magico per la preparazione del Mandala.
Nei primi otto giorni precedenti l’Iniziazione il Dalai Lama ed i suoi assistenti procedono alla preparazione del luogo in cui avverrà la cerimonia. A Ki nell’agosto 2000 assistevano il Dalai Lama sedici monaci del monastero di Namgyal, il monastero che era originariamente posizionato all’interno del palazzo del Potala a Lhasa ed è stato ricostruito a Dharamsala per conservare la tradizione e i testi che riguardano il Kalachakratantra. Namgyal si dedica a questa tradizione e funge da ausilio al Dalai Lama fin da quando fu fondato dal VII nel XVII secolo.
Nel giorno stabilito dagli astrologi sull’area su cui si creerà il Mandala delle sabbie colorate dapprima si procede ad una specifica divinazione per verificare che quel terreno sia quello adatto; si chiede anche il permesso di procedere agli spiriti locali e poi si purifica il luogo tramite la recitazione di mantra, visualizzazioni e specifiche meditazioni. Lo si consacra invocando Buddha e Bodhisattva da tutte le direzioni ed infine si scacciano le interferenze negative al conseguimento dell’iniziazione. Vengono poi consacrate le sostanze che saranno usate per la costruzione del Mandala.
A quel punto ne inizia la vera e propria costruzione.

Consacrazione del luogo
I rituali di purificazione e preparazione del luogo in cui si conferirà l’iniziazione.
La prima giornata dei complessi rituali di Kalachakra è dedicata alle cerimonie preliminari e propiziatorie necessarie. E’ un intreccio di rituali, meditazioni e pratiche che richiede circa 14 ore.
S. S. il Dalai Lama ed i monaci di Namgyal in breve sintesi hanno eseguito le seguenti pratiche:
– Controllo del terreno recitando il testo della Prajnaparamita in 8000 versi (testo che riguarda la profonda visione della vacuità, essenza del terzo ciclo della ruota del Dharma).
– Richiesta del permesso per l’iniziazione ai guardiani e protettori del luogo con riti propiziatori.
– Purificazione del luogo attraverso la creazione del circolo di protezione, riti di eliminazione delle forze che possono apporre ostacoli e l’evocazione delle deità guardiane. Si consacra l’atmosfera concentrandosi sulla vacuità.
– Seguendo la liturgia del Kalachakratantra, il Dalai Lama ed i suoi assistenti eseguono il rito in cui chiedono il permesso di creare il Mandala. Generano la motivazione di Bodhicitta (l’aspirazione ad ottenere l’Illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri) e si visualizzano nell’aspetto di Dorje Sung (guardiano del Dharma).
– Vengono quindi compiuti rituali propiziatori con cui si invitano le deità della terra a fondersi con la struttura del mandala che verrà creato, per consacrare le sostanze e gli strumenti che verranno usati durante la cerimonia di creazione del Mandala.
Uno degli aspetti più spettacolari di questa fase sono le danze rituali.



Danze rituali
Le danze eseguite nel primo giorno di preparazione.
Le danze rituali vengono eseguite durante la prima delle nove giornate preparatorie all’iniziazione di Kalachakra.
Disposti circolarmente, gli assistenti eseguono la danza del luogo (Sa Gar): i danzatori sono adorni del coloratissimo costume rituale e tengono nelle mani il vajra e la ghanta (campana), come le feroci divinità guardiane.
Accompagnandosi con canti, essi domano le forze ostili che possono interferire negativamente e, con mudra (gesti rituali) e passi di danza, le scacciano lontano. Poi con la danza creano il cerchio di protezione per garantire la buona riuscita dell’iniziazione.


Creazione del Mandala
Le metodologie utilizzate per la creazione del grande Mandala di sabbia.
I giorni dal secondo all’ottavo sono dedicati alla creazione del Mandala.
“Le iniziazioni di Kalachakra vengono conferite sulla base di un Mandala, la sacra dimora con le sue divinità residenti, di solito raffigurato in forma grafica” “Mentre tutti gli altri Mandala riguardano solo il singolo praticante, il Mandala di Kalachakra coinvolge l’intera comunità, la società nel suo complesso”.
S. S. IL DALAI LAMA
Per intuire il significato di questo Mandala è necessario visualizzarne il duplice aspetto, allo stesso tempo sia Palazzo Divino, dove le divinità risiedono, che loro manifestazione intrinseca. In essenza rappresenta la dissoluzione delle apparenze impure in quelle pure, trasmutazione che viene compresa come espressione dell’unione di vacuità e beatitudine.
Il Mandala non rappresenta una struttura architettonica concreta, pur avendo la forma della pianta di un palazzo, bensì la forma della mente Illuminata.
“È importante capire quali sono gli aspetti fondamentali del sentiero buddista che forniscono il contesto al cui interno i Mandala possono essere usati come oggetto di meditazione. Il primo è il forte desiderio di mettere fine alle esperienze di sofferenza degli esseri ordinari. Queste vanno dal piacere relativo degli dei e degli umani fino al dolore e ai tormenti degli animali, degli spiriti famelici e degli abitanti delle regioni infernali. Il praticante deve inoltre provare un forte desiderio di realizzare l’illuminazione per il bene degli altri e avere una corretta visione della realtà.”
S. S. IL DALAI LAMA



Il Mandala di Kalachakra è stato composto dai monaci del monastero di Namgyal con sabbie colorate ottenute da materiali preziosi, quale supporto materiale per la creazione del Mandala vero e proprio che sorge dal potere della visualizzazione e della concentrazione.Viene creato in giorni astrologicamente di buon auspicio, considerati sacri, e anche quando l’atmosfera è pacifica e il maestro soddisfatto del comportamento dei suoi discepoli.
Il Mandala di Kalachakra è stato composto dai monaci del monastero di Namgyal con sabbie colorate ottenute da materiali preziosi, quale supporto materiale per la creazione del Mandala vero e proprio che sorge dal potere della visualizzazione e della concentrazione.
Vengono tracciate poi le diagonali nelle direzioni intermedie, anch’esse passanti per il centro, poi le quattro linee perimetrali che determinano il quadrato del Mandala. Queste prime otto linee sono chiamate linee maggiori.
Vengono poi tracciate le linee interne e, con una goccia d’acqua profumata, segnati i punti in cui risiedono le divinità principali. Su ogni goccia viene poggiato un fiore, simbolo del trono delle divinità, e sopra il fiore un chicco di grano, simbolo della divinità stessa. Con la meditazione sulla vacuità, i chicchi vengono visualizzati nelle diverse divinità a cui vengono fatte offerte e lodi.
Le sabbie colorate sono polveri di sostanze preziose quali oro, argento, corallo, perle, turchesi, lapislazzuli, pietre dure, ecc. Nel corso di alcuni giorni i monaci completano con estrema cura e pazienza il mandala delle polveri colorate dopo aver meditato a lungo sulla mancanza d’esistenza intrinseca del sé e della realtà fenomenica (vacuità), poiché è proprio da questa sfera che sorge il Mandala.
Per disporre con precisione le polveri colorate sul piano, e procedere quindi alla costruzione dettagliata del palazzo, i monaci fanno uso di particolari coni zigrinati da cui fanno discendere minime quantità di polvere praticando un leggero sfregamento con un bastoncino sul cono stesso.
Dopo aver completato il palazzo divino, i monaci passano alla preparazione dei cinque mandala esterni o sfere degli elementi (terra, acqua, fuoco, aria e spazio).



Insegnamenti introduttivi
Le spiegazioni di Dharma offerte da SS il XIV Dalai Lama ai presenti.
A differenza di quanto accade negli altri tantra, che non consentono di iniziare più di venticinque persone alla volta, al rito di Kalachakra partecipano, per tradizione, più vaste moltitudini. Durante la creazione del Mandala, che dura una settimana, il Lama tradizionalmente dedica una parte della sua giornata agli insegnamenti di Dharma e delle pratiche di meditazione. È un’occasione per approfondire gli aspetti della pratica e per prepararsi nel modo più attento e profondo al conferimento dell’iniziazione stessa.
La trasmissione degli insegnamenti contribuisce in modo sostanziale alla corretta predisposizione d’animo nei partecipanti, aiutando tutti ad ottenere il massimo beneficio. Condividere l’esperienza con una moltitudine di esseri, sentire la fortissima presenza vibrazionale di tanti Lama illuminati e poter scambiare le esperienze individuali con gli altri rendono il Kalachakra un momento eccezionale nella vita di ciascuno dei partecipanti.



L’iniziazione
Le fasi preparatorie e gli stadi susseguenti della trasmissione.
Preparazione al conferimento
Il nono giorno è dedicato alla preparazione del discepolo per il conferimento dell’iniziazione.Questa fase prevede:- Il lavaggio purificatorio. Viene versata nelle mani del discepolo dell’acqua con lo zafferano, con cui si sciacqua la bocca e poi la beve.
– Il discepolo compie tre prostrazioni davanti al Lama mentre vengono fatte offerte ai guardiani del luogo ecc.
– Il discepolo recita versi di richiesta.
Vengono conferiti i voti di Pratimoksha – del comportamento morale; di Bodhicitta – dell’aspirazione alla realizzazione per il beneficio di tutti gli esseri; e del Tantra – della realizzazione veloce.
– Il Dalai Lama lancia un bastoncino all’interno di un piccolo mandala quadrato, delimitato ai bordi da strisce di quattro colori che simbolizzano le quattro direzioni. La direzione presa dalla punta del bastone indicherà il mezzo abile più conveniente per le azioni future cioè: dominio, pacificazione, ferocia o sviluppo. Se il bastoncino cadesse tre volte fuori dal vassoio ciò verrebbe considerato come – il segno che le circostanze non sono favorevoli allo svolgersi dell’iniziazione.
Vengono distribuiti dei nastri rossi che hanno un nodo benedetto dal Lama c vengono legati intorno al braccio di ognuno: ciò ad indicarne la protezione.
– Viene distribuita l’erba kusha. I discepoli nella notte la sistemano sotto il materasso ed il cuscino del letto allo scopo di purificare i loro difetti e facilitare la chiarezza dei sogni, sogni che potrebbero essere premonitori della pratica futura. Lo stelo più lungo viene posto sotto il materasso, quello più corto sotto il cuscino.
– I partecipanti visualizzano le sei sillabe del mantra di Kalachakra in sei punti del proprio corpo allo scopo di eliminare gli ostacoli creati dai sei elementi fisici (terra, acqua, fuoco, aria, spazio e coscienza).
– Vengono date delle istruzioni sul modo di analizzare i propri sogni. Il discepolo dovrebbe dormire con la testa nella direzione del trono dove siede il Lama, oppure visualizzarlo.



L’iniziazione
L’Iniziazione vera e propria comincia il decimo giorno e prosegue per tre giorni. La chiarezza della propria visualizzazione e la motivazione altruistica sono la base per ricevere interamente il Kalachakratantra; è meno essenziale comprendere alla perfezione l’intera complessa cerimonia che si svolge.
L’Iniziazione è suddivisa in undici parti o iniziazioni. Le prime sette consacrazioni sono dirette a purificare ed abilitare i discepoli a praticare lo “Stato di generazione” ed a prepararli così alle quattro iniziazioni superiori, connesse allo “Stato di generazione”. Le prime sette fasi possono essere interpretate anche come le fasi di una rinascita.La prima iniziazione è quella dell’acqua in cui il discepolo – bambino appena nato viene lavato e purificato.
La seconda iniziazione è quella della corona, e può essere associata al tradizionale primo taglio di capelli ad un bambino.
La terza iniziazione è quella del nastro, paragonata al bucare i lobi delle orecchie del bambino per adornarlo di orecchini.
La quarta è quella del Vajra e della campana. Si crea una potenzialità, viene posto il seme per ottenere la parola di Buddha; il suono della campana simboleggia le prime parole del bambino.
La quinta è quella del voto o della azioni. Consiste nell’assumere, da parte del discepolo, l’impegno a praticare la meditazione che verrà trasmessa. Questa fase corrisponde alla capacità del bambino ad agire autonomamente.
La sesta iniziazione è detta del nome segreto, in cui il discepolo riceve il nome di uno dei cinque Dhyani Buddha, nel cui aspetto raggiungerà l’Illuminazione.
La settima è quella dell’Autorizzazione e si divide a sua volta in due parti. L’autorizzazione vera e propria ed i rituali relativi ad essa. Può essere paragonata alla prima lezione di lettura del bambino.
Le ultime quattro iniziazioni sono quelle più esoteriche e non sempre vengono conferite ad un numero vasto di persone. Esse sono: l’iniziazione del vaso, l’iniziazione segreta, l’iniziazione della saggezza e l’ultima, detta anche quarta iniziazione, del Maestro Vajra.
Al mattino del dodicesimo giorno il Lama e gli assistenti eseguono la Sadhana di Kalachakra e l’autoiniziazione, che concludere l’intera cerimonia.
Gli assistenti fanno poi un’offerta di ringraziamento a Kalachakra e recitano la preghiera di lunga vita per il Lama. Prima di smantellare il mandala delle polveri colorate, il pubblico è invitato a circumambularlo e osservarlo. Infine, dopo una processione rituale, la sabbia del Mandala viene gettata in un fiume.

Le danze popolari
I momenti di aggregazione festosa dei partecipanti.
La presenza di una moltitudine di genti appartenenti a tutte le principali etnie di stirpe tibetana ha dato lo spunto a moltissime situazioni festose e di scambio.
Oltre alla miriade di iniziative spontanee, è stata anche organizzata una rassegna di danze, canti e giochi dei gruppi etnici principali che erano presenti.



Il monastero di Ki
Cenni sulle origini e storia di questo bel monastero himalaiano.
L’antico monastero di Ki nella valle dello Spiti (Tibet indiano) è il principale della zona. Arroccato a 4000 metri su uno sperone di roccia domina una valle desertica su cui si affacciano splendide vette. Il fiume Spiti, fonte di vita per le irrigazioni dei villaggi, scorre ai suoi piedi.
Costruito da Ringchen Zangpo circa mille anni fa, Ki storicamente è sempre stato strategicamente importante per il controllo della regione dello Spiti, e quindi conteso più volte tra l’antico regno di Gughe ed il Ladakh. La posizione arroccata su una propaggine di una montagna altissima lo rendeva ben difendibile. In una stanza del monastero si conservano ancora delle armi antiche, resti delle battaglie combattute nella valle. Nell’800 Ki fu anche preda di un’invasione Sikh e un’invasione Dogra.
A Ki risiedono un centinaio di monaci di scuola Gelupa; all’interno sono conservate delle bellissime tanke antiche. Per secoli il gompa è stato il centro culturale e politico dello Spiti.



Il campo tibetano
Il vasto campo dei pellegrini sulla piana sottostante il monastero di Ki.
L’iniziazione di Kalachakra ha richiamato una moltitudine di pellegrini da tutte le regioni Himalaiane dell’India di religione Buddista e migliaia di rifugiati tibetani, oltre a gruppi giunti dal Tibet sotto dominio cinese; all’apice dell’evento si contavano circa 25.000 persone.
Questa grande aggregazione in una valle remota e priva di servizi e infrastrutture ha dato vita ad un vivace accampamento di tende, probabilmente simile a quelli che possiamo immaginare delle grandi migrazioni dell’Asia centrale. Il campo è diventato in breve una piccola città, con mercatini, tende “ristorante”, spettacoli, ed è stato soprattutto un luogo di scambi e incontri.
Passeggiando tra le tende si incontravano rappresentanti di tutte le etnie tibetane, la gente festeggiava con danze e con cibo cucinato in comune in grandi calderoni su fuochi di legna. Per alcuni dei partecipanti al Kalachakra il folclore di questa situazione è stato forse l’aspetto più interessante, e anche l’occasione per acquistare interessanti oggetti d’arte.



I partecipanti italiani e il nostro campo
Il luogo in cui si visse per 2 settimane a 4000 mt, nel cuore dell’Himalaia dello Spiti.
Al Kalachakra di Ki il gruppo italiano era, tra le persone provenienti dal mondo occidentale, il più numeroso: all’apice, il campo di Amitaba contava 62 persone, a cui si aggiungevano altri gruppi, con un totale di circa 75 italiani.
S. S. il Dalai Lama ci ha dato un saluto anche pubblico durante l’apertura degli insegnamenti, ed ha trovato il tempo di ricevere una parte dei partecipanti.
Durante gli insegnamenti e l’iniziazione è stato predisposto un collegamento radio con la traduzione in italiano, un impegno gravoso assolto egregiamente da Roberto Volpon, grazie all’aiuto ricevuto da Lama Lhakdor, l’assistente di Sua Santità.



L’interpretazione degli insegnamenti era facilitata dalla presenza di Giulio Santi, che si è prodigato a soddisfare le domande di tutti.

Il campo di Amitaba
A Manali, prima di giungere in Spiti, abbiamo incontrato Ngagchang Tenzin Dhondhen Rimpoce, un maestro di tradizione Nyingmapa che è anche un potente guaritore. Oltre ad occuparsi dei problemi fisici di alcuni dei partecipanti, il Rimpoce ha fornito a ciascuno una protezione, ed ha affidato al capogruppo delle erbe con cui eseguire una purificazione giornaliera del campo.Il campo era posizionato sulla piana sottostante il monastero, staccato dall’accampamento tibetano per avere più tranquillità. La disposizione del campo è stata eseguita seguendo lo schema di un Mandala, con al centro il punto in cui si eseguivano le meditazioni serali attorno al fuoco. Il campo era dotato di generatore di corrente, di una grande tenda comune e di tende con due letti. La cucina era curata da bravi cuochi, che hanno avuto il merito di riuscire a non provocare disturbi di stomaco a nessuno: un piccolo miracolo visto il luogo ed il numero di persone.
L’ospite più importante al campo di Amitaba è stato il giovane abate di Dhankar, il tredicenne Tulku di nome Kusho, che ha anche dormito da noi una notte. Per lui è stata organizzata una piccola festa.
Racconti dei partecipanti
Osservazioni e storie di due delle persone che parteciparono.


Il diario di Giulio
Ogni fenomeno nasce come le nuvole nel cielo. Ogni cosa, sin dall’inizio è priva di realtà. Anche quel lungo viaggio sulle tortuose strade himalaiane, così improbabili da percorrere in corriera, è stato inghiottito dal passato come un sogno nel vuoto della mente.Il passato, come il presente ed il futuro dipendono dal tempo che riassorbe in sé tutte le creature ed i fenomeni inghiottendoli nel vuoto.Kalachakra, la Ruota del Tempo, il Buddha infinito senza inizio. La realtà sembra solida e concreta come sembravano concreti gli strapiombi che s’affacciavano sotto le ruote slise e incoscienti che s’arrampicavano su interminabili salite larghe quanto gli autobus, ingenui contenitori di persone fiduciose per forza, ma un po’ preoccupate quando fingevano di non vedere che l’autista beveva del rum per trovare l’energia di guidare per tante ore fino al monastero di Ki: l’agognata Shambala.
Quegli strapiombi sembravano sempre pronti ad inghiottirci nei loro precipizi himalaiani. Ogni tornante era un’emozione rinnovata, ed i tornanti tornavano in continuazione. Ma poi è stato il tempo che ci ha inghiottito nel vuoto, poiché il passato è vuoto e vive nella memoria presente anche se labile e transitoria e quei tornanti che ora sono solo ricordi ci hanno condotto fino al monastero di Ki dove ci aspettava Kalachakra abbracciato alla sua sposa Visvamatr: la vacuità generatrice dei Buddha. Kalachakra abbraccia tutto ed include ogni essere nella sua compassione universale, pur nella consapevolezza che tutte le creature infinite sono vuote di realtà.
Tutte le diverse apparenze hanno la natura della mente, nulla esiste in modo diverso. Osservato ed osservatore non hanno alcuna realtà. L’unione delle apparenze con il vuoto sono la Chiara Luce.
Così il nostro viaggio è stato nella Chiara Luce, nel Mandala del sogno. Il Mandala è lo spazio circolare come circolare era l’accampamento delle nostre tende: uno spazio sacro disegnato con le polveri colorate su di un terreno piano e la polvere non mancava a Ki.
Centinaia di piedi tibetani salivano e scendevano in processione al monastero, sollevando le polveri della montagna. Centinaia di fazzoletti coprivano bocca e naso ed una grande nuvola di polvere avvolgeva il brullo paesaggio himalaiano.
La costruzione del Mandala è la costruzione di un nuovo mondo; viene abolito il mondo del caos scomposto e doloroso della trasmigrazione, tormentato e stravolto dalle passioni, e sostituito dal praticante tantrico con un edificio nuovo, armonico, prima sconosciuto, al di là di ogni ostacolo.
La cerimonia ha inizio con la preparazione del Mandala dove dimora Kalachakra in unione con Vivamatr tracciato con grande attenzione da SS il Dalai Lama e dai monaci esperti del monastero di Namgyal e finisce con la ressa caotica della massa dei tibetani che si precipitano come animali affamati per poter vedere subito il Mandala delle polveri colorate, la base dell’iniziazione.
Vogliono vederlo immediatamente, sono disposti anche ad azzuffarsi pericolosamente. Noi del gruppo italiano, cerchiamo di costituire una falange d’assalto, una testuggine tattica predisposta ad inserirsi come cuneo nel fianco della folla accalcata. In prima linea il guerriero Alessandro che, armato d’ombrello, si lancia incurante del pericolo tra i bastoni roteanti dei monaci. Niente da fare, siamo costretti alla ritirata. Dobbiamo rassegnarci a vedere il Mandala colorato con tutta calma qualche ora dopo.
“C’è tra voi qualche buddista?” è la domanda che ha fatto il Dalai Lama al nostro gruppo di italiani in udienza privata. Timidamente qualcuno, tra cui io, abbiamo alzato la mano. Sua Santità si è messo a ridere: “Non c’è alcun bisogno di essere buddista” ha risposto. Quella frase è suonata un po’ come una dissacrazione al centro del Mandala divino pronunciata proprio dalla divinità centrale, il maestro Kalachakra in persona: una frase semplice e liberatoria. Allora mi sono guardato intorno: eravamo nel tempio del monastero che sovrasta la valle dello Spiti. Un edificio quadrato fornito di quattro porte orientate verso i quattro punti cardinali, dove sono, a un livello gradatamente sempre più alto, altri due edifici quadrati forniti anch’essi di quattro porte. Più alto ancora, ma senza porte c’è il Mandala del piacere immoto che ospita Kalachakra abbracciato a Visvamata.
La meditazione sul Mandala e sulle sue figure è un momento indispensabile del cammino da percorrere, ma, come ogni forma di meditazione, appartiene ancora al pensiero discorsivo e in quanto tale dev’essere superata. La vera meditazione deve trascendere il pensiero discorsivo. “Nel non essere c’è il non essere di meditazione quindi la meditazione è una non meditazione”. La meditazione è simile a un’immagine magica in un cielo vuoto di nuvole e in questo cielo, nel giorno dell’iniziazione, è apparso l’arcobaleno circolare attorno al sole. L’abbiamo visto tutti e siamo rimasti a bocca aperta a guardare per aria. Nessuno di noi l’ha fotografato però Vittorina ha avuto la prontezza di riprenderlo con la sua telecamera, quindi è stato documentato per gli increduli.
Anche noi, nel nostro piccolo, abbiamo costruito il nostro Mandala di tende disponendole con molta precisione in cerchio. Abbiamo individuato il centro, con un lungo spago abbiamo tracciato la circonferenza e gli indiani del nostro staff hanno innalzato le tende simili a quelle di un accampamento militare degli antichi romani esattamente nei punti calcolati. All’interno del grande circolo, la sera, dopo la processione di protezione con gli incensi ed i mantra, ci sedevamo ancora in cerchio attorno al fuoco per la meditazione finale. E, per chi reggeva ancora, nella notte risuonavano le campane ed i mantra alla luna. La grande luna piena, ancora un cerchio luminoso che osservava l’iniziazione del Dalai Lama, mentre sapevamo che lui, il nostro maestro prezioso si trovava lassù, nel monastero che dominava la valle e s’ergeva silenzioso e possente davanti a noi.
Al mattino molto presto dovevano svegliarsi i guerrieri di Shambala; dovevamo prepararci alla dura battaglia che consisteva nello scacciare dallo spazio che era stato assegnato al nostro gruppo di italiani le folle che s’allargavano troppo. Quel compito era relativamente facile quando si trattava di allontanare i tibetani che sono molto pacifici e mansueti, ma la cosa più ardua era quella di difenderci dagli occidentali di lingua inglese.
Gli spagnoli ci insultavano e ci davano dei mafiosi, ma poi s’allontanavano un po’ anche se continuavano a brontolare a distanza contro di noi; i giapponesi non parlavano e restavano irremovibilmente ancorati ai posti conquistati, ma riuscivamo a comprimerli molto, a tal punto che occupavano un unico posto in cinque o sei, invece gli anglofili si piazzavano con aria molto determinata, alzavano voce e cipiglio e non si spostavano, anche se alzavamo le mani era controproducente: mostravano una maggiore aggressività.
Dunque se l’iniziazione cominciava alle due del pomeriggio, il nostro manipolo era già sul posto alle sei del mattino altrimenti sarebbe stato impossibile trovare posto. Eravamo orgogliosi della zona centrale nel cortile del monastero che c’era stata assegnata da Lama Lactor, il monaco che traduceva in inglese gli insegnamenti del Dalai Lama e sovrintendeva all’organizzazione del Kalachakra, ma se volevamo conservarcela dovevamo coprire il terreno con coperte, teli di plastica e quant’altro, armarci d’ombrello parasole e fare la voce grossa contro coloro che s’avvicinavano alla nostra zona, perché quasi subito erano sparite le corde che delimitavano il nostro spazio.
Alcuni del nostro numeroso gruppo (42 persone) che arrivavano bel bello soltanto qualche ora prima dell’iniziazione, avevano anche il coraggio di lamentarsi che si stava troppo stretti e che faceva caldo. Ma la consapevolezza che fra circa quattrocento anni, (secondo i calcoli tibetani 3304 anni dopo la morte di Buddha) grazie all’iniziazione di Kalachakra, potremo rinascere sotto il governo del venticinquesimo re di Shambala: Raudrachakrin, figlio di Manjusriyasas, che alla testa di un immenso esercito distruggerà i barbari, e, nella terribile guerra che sconvolgerà il mondo, anche noi ne saremo suoi guerrieri, ci rassicurava un pochino anche se la guerra non mi é mai piaciuta tanto.
Questa guerra, secondo il commentatore indiano del Kalachakratantra dell’XI sec. Pundarika, non dev’essere presa alla lettera, ma in ossequio ai principi umanitari del buddismo, sarà piuttosto una conversione senza spargimento di sangue.
La grande battaglia, coi suoi diversi ed opposti schieramenti di fanti, cavalli, elefanti ecc. si svolgerà e si svolge già dentro di noi tra le diverse specie di attitudini negative e le virtù fondamentali del Dharma. Così sostiene Pundarika, l’autore del commento Vimalaprabha, a cui s’é ispirato anche il grande santo Naropa. Secondo Pundarika il Kalachakratantra fu insegnato dal Buddha al re di Shambala Suchandra in una grande assemblea tenuta a Dhanyataka, nel sud dell’India (corrispondente all’attuale Amaravati). Tornato al suo paese, nell’Himalaia, il sovrano trascrisse il Tantra in 60.000 stanze. Da allora l’insegnamento del Kalachakra fu ininterrottamente trasmesso attraverso una serie di re maestri di Shambala ed introdotti in India nell’XI sec. da un misterioso yogi tantrico di nome Cilupa che era riuscito a trovare la strada per Shambala e ritornare in India: forse si trattava di Tilopa, il celebre maestro di Naropa che gli conferiva iniziazioni a zoccolate in faccia.
Ma proprio grazie a Naropa, la tradizione del Kalachakra, presto distrutta in India in seguito alla devastazione dei mussulmani, continuò in Tibet ed oggi SS il Dalai Lama é il maestro più qualificato che ne detiene il lignaggio. Il giorno in cui abbiamo avuto l’udienza con il Dalai Lama é tornata a manifestarsi anche la Terra delle Dakini che s’era assorbita nella sfera del Dharmadathu da più di 10 anni.
Gabriela, mia moglie, ha chiesto a SS di conferirci l’energia ispiratrice per poter attivare nuovamente il centro di Dharma di Milano e così è stato, il Dalai Lama l’ha guardata negli occhi pensieroso e poi ha detto “Pregherò”.
E così la Terra delle Dakini è tornata a funzionare e poi si é estesa anche a Bologna. Ed inoltre, in quel periodo, è stato concepito anche il nostro nipotino. Tutta la famiglia Santi era presente all’iniziazione: tutte braccia per la guerra di Shambala.
Il diario di Vittoria
Per la partecipazione al viaggio Kalachakra 2000 devo ringraziare mio marito Marco che mi ha fatta partire, i miei bambini, Alessandro e Luca, che non sono stati troppo grasping, attaccati, la mia amica Gabriela, che mi ha messa al corrente del viaggio e, più di tutti, gli organizzatori, Alessandro e Rino.La motivazione prima a voler partecipare a questo viaggio è stata di assistere ad un insegnamento di Dharma in un luogo dove si è sviluppato e si pratica il Buddhismo senza elaborazioni occidentali. L’insegnamento, inoltre, veniva dato da Sua Santità il Dalai Lama e il suo contenuto era molto interessante.
Altro motivo, il desiderio di vivere a contatto stretto con la natura nel modo più semplice possibile. Sin dall’inizio del viaggio, ed ancora prima di partire, quelle che i buddisti chiamano interferenze si sono presentate continuamente e senza interruzione. Vi descrivo quelle situazioni che di solito sono considerate spiacevoli. (1) Perdita del passaporto due settimane prima di partire. Problema risolto in tre giorni. (2) Perdita dell’aereo insieme ad altre tre persone. La Compagnia ci ha lasciati a terra. Problema risolto il giorno dopo. (3) Perdita del bagaglio all’arrivo a Delhi. Problema risolto durante il viaggio. (Giacca a vento regalata, sacco a pelo affittato, gli scarponi li avevo ai piedi). Il problema si è risolto definitivamente al ritorno con il ritiro del bagaglio “non usato”. (4) Durante il viaggio di andata, un enorme masso frana a due metri dal pullmino su cui mi trovavo. Qualche secondo prima che avvenisse, stavo pensando che non saremmo dovuti passare prima di S.S. il Dalai Lama che faceva il nostro stesso percorso; e così siamo stati fermati. A questo punto, ho cominciato a pensare che i miei meriti per fare questo viaggio erano veramente pochi. (5) Inoltre, la mia compagna di viaggio si è ammalata e non ha potuto partecipare, come forse voleva, allo scopo del viaggio. Problema risolto prima di ripartire. Le altre interferenze sono state “banali” : fregature nel cambio dei soldi, problemi con le ruote dei pullman e con i burroni, problemi con un guidatore inesperto che è però riuscito ad incastrarsi con un altro pullman.
All’inizio ci sono stati anche problemi di relazione con alcuni compagni di viaggio dovuti a incomprensioni reciproche. Nonostante questa sequenza di interferenze, la mia mente non è stata minimamente toccata da queste situazioni e beatamente godeva di tutto ciò che incontrava e vedeva. Perché? Adesso che sono tornata lo so. Le situazioni piacevoli sono state molto più forti delle interferenze.
Il viaggio di andata per arrivare nella Valle di Spiti è stato incantevole, per me era come rientrare nei luoghi di favole di quando si era bimbi. La natura che ho visto era disposta con una tale bellezza che su ogni visione mi sarei fermata a lungo; invece il pulmino procedeva veloce per raggiungere la Valle di Spiti, “la meta”. Poi, dal verde variabile e dalle cascate cristalline il paesaggio si è trasformato sempre più in montuoso e simile al deserto, con fiumi vorticosi sotto la strada che si doveva percorrere, ad una altezza sempre più crescente, con strade strette su favolosi burroni. I due passi del Kunzum e del Rothang mi hanno dato delle sensazioni differenti nell’andare e nel ritornare. All’andata, sono stata colpita dalle migliaia di bandierine di preghiera colorate messe per accogliere S.S. il Dalai Lama : un arcobaleno perenne mosso dal vento su entrambi i passi. Al ritorno, sono stata rapita dalla meravigliosa montagna che sovrasta il passo del Kunzum. Ci sono stata così pienamente, che posso essere ancora lì quando voglio. Per provare questa sensazione, bisogna veramente “esserci”, fondersi col luogo. Anche l’ascolto del movimento del vento è stato intenso ; arrivava fortissimo, poi c’era una pausa, “osservava” quindi correva di nuovo a una velocità diversa. Anche qui la sensazione è stata di “esserci”.
Durante la mia contemplazione, si sono avvicinate a me due persone in tempi diversi. Entrambe “dolci e presenti” e hanno forse condiviso alcune sensazioni. Questo però bisognerebbe chiederlo a loro. Il passo del Rothang l’ho riattraversato di notte. Il nostro autista , Mr. Krishna, bravissimo, faceva lo slalom tra le mucche dormienti in mezzo alla strada. La maggior parte del tempo di questo viaggio è stata dedicata all’ascolto degli insegnamenti di SS il Dalai Lama e a visitare alcuni monasteri; non tutti, purtroppo. Al monastero di Larchhang ho avuto la sensazione di ritornare a casa; anche qui c’era una montagna molto “vicina” e il monastero Sakya è in una riserva naturale dove ci sono la tigre bianca, il lupo tibetano, la volpe e il pookah, che da noi esiste solo come animale immaginario. L’ascolto degli insegnamenti non è andato tutto liscio. Ad un certo punto, c’è stato un cambio di traduttore che per me è stato determinante, al punto che dovrò partecipare al prossimo Kalachakra: è un’ottima scusa. Ogni tanto, staccavo la radio ed ascoltavo la voce di Sua Santità e alcune parole mi sono diventate familiari. Questo esercizio è stato molto buono, perché la sua voce è entrata nel mio cuore ed anche qui mi sono fusa col suo suono. Durante gli insegnamenti, i miei stati d’animo sono stati mutevoli: c’è stata un po’ di tristezza per non essere ben presente e felicità in totale espansione per essere lì. (Ho scoperto poi a casa che la collina su cui è costruito il monastero di Ki è il Palazzo di Chakrashamvara; questo è interessante per i buddisti). Lì, insieme a così tanta gente che aveva la mia stessa motivazione, ascoltare il Dalai Lama, sentire la sua compassione per tutti, la sua gioia, i suoi consigli perché ognuno di noi si possa realizzare pienamente. Molti hanno potuto vedere l’arcobaleno circolare intorno al sole mentre si aspettava Sua Santità. Era incredibile vedere tantissime persone salire dal campo di tende verso il monastero di Ki, a piedi, in jeep, in pullman, a qualsiasi ora ci fossero gli insegnamenti. La mattina presto, col freddo, alle ore 4, o nel primo pomeriggio con temperature da deserto all’una ed anche sotto la pioggerellina, residuo dei monsoni. Il confronto col mondo abituale è inevitabile. Sono a contatto con ansiosi che si preoccupano se piove, se c’è il vento, se fa caldo, se fa freddo. Let it be Ora, oltre all’ascolto degli insegnamenti, ho sperimentato l’osservazione dei corsi d’acqua, all’andata ed al ritorno, l’ascolto del vento, gli arcobaleni – ne ho visto uno una mattina sopra il nostro campo, la “casa” di Amitaba, ed un altro al ritorno nell’uscire dalla valle – l’essere sospesi sui burroni o in cima alla collina di Ki, a contatto coll’elemento aria, sentire il calore del fuoco la sera, al campo, che veniva acceso dagli aiutanti. Anche il cibo era buono quand’era cucinato sul posto.
Tutti questi ingredienti mentali, gli insegnamenti, e gli altri naturali, se percepiti hanno l’effetto di ricollegarci col nostro “centro” che è un punto di vista più reale di quello solitamente legato a modelli comportamentali che ogni cultura ha e insegna proprio per mantenersi tale.
Sono riuscita a voler bene a tutti i miei compagni di viaggio, anche a quelli che all’inizio trovavo insopportabili, come i “fumatori accaniti”: li ho visti trasformarsi nonostante la sigaretta ancora in bocca. Spero che l’energia che si è mossa in loro come in me continui a fluire e non si fermi e porti a tutti le realizzazioni necessarie. Cosa mi è rimasto di questo viaggio?
Non devo dimenticarmi di sviluppare gli insegnamenti ricevuti da SS il Dalai Lama. Leggere le 37 Pratiche dei Bodhisattva, sviluppare i due tipi di concentrazione, Shine e Lathong. Mi è rimasto un cambiamento fisico. È cambiata la mia voce. Nonostante tutto questo, so che non devo essere troppo sicura di me stessa perché il fermarsi è un impedimento al fluire dell’energia. Spero che la mia esperienza raccontata sia utile a qualcuno.