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Iran: Si parte!

Diego Balboni, con questo testo, non si limita a narrare la cronaca di un suo viaggio in Iran con Amitaba, fa molto di più: racconta il suo incontro con questo Paese e col suo popolo, entrambi così diversi dagli stereotipi attribuiti loro da noi occidentali…

Foto realizzate da Diego e Graziella Balboni. Per maggiori approfondimenti sull’Iran, visita anche la sezione Paesi e tradizioni.

Si parte!

Sei pazzo… Annulla il viaggio, è pericoloso. Povera donna, dove la porti. Insomma le solite frasi dei colleghi che sento ogni volta. Ma io sono anni che voglio vedere la Persia e soprattutto Isfahan. Mi sono scritto un bel programma: Teheran, Kerman, la mitica Bam, Yazd, Shiraz, Isfahan, Natanz, Abyaneh, Kashan, Qom e non ci penso proprio a rinunciare. Nessuna intenzione di perdermi l’Iran come mi sono perso la Siria. Poi metti che davvero vince Trump, che a qualcuno in Israele gli scappa il ghiribizzo di premere il pulsante sbagliato. E poi tutti i libri letti, i film visti, tutto, ma proprio tutto mi fa pensare che anche questa volta sarà una grande avventura. E così è stato oltre ogni aspettativa ad iniziare dai miei Top 5: la cortesia degli Iraniani, la luce nella moschea Lotfollah a Isfahan, la piazza di Yazd, i bassorilievi di Persepoli, l’Arg di Bam.

 

Teheran, il Golestan

Teheran, nel Golestan

Kerman

Teheran

La capitale, una cittadona sterminata schiaffata a ridosso degli Alborz, le montagne più alte dell’Iran. Si pensa sempre alla Persia come ad un deserto invece tra la capitale e il Mar Caspio c’è il signor Damavand che fa un bel 800 metri in più del nostro Bianco. Si scia pure. A Teheran ci si ferma poco, il tempo di riposare qualche ora e di visitare le tre o quattro cose che non si possono perdere.

Facciamo conoscenza con Mahnoosh la nostra guida, una ragazza molto carina nei modi che parla un ottimo italiano. E’ nata nel 1362 ma non ha 653 anni bensì 32, ha una laurea in informatica, fa il master in Business Administration, insegna italiano. Poi ci procuriamo un po’ di moneta locale: qui 1€ vale 39.000 Real o 3.900 Toman, in pratica cambi 200€ e viaggi con milioni in tasca. Infine ci si tuffa in un traffico assurdo: i sensi di marcia hanno scarso significato, le inversioni ad U sono la norma, il contromano per   motorini e moto la regola.
Le visite nella capitale sono le classiche di tutti i tour: palazzo Golestan, bel giardino con rose profumate, musica tradizionale diffusa da altoparlanti, belle maioliche di epoca qajara, trono del “pavone”; Museo Nazionale per prendere confidenza con quanto vedremo a Persepoli; Museo dei gioielli ovvero un trionfo di corone, scatoline, narghilè, spade, mappamondi e qualunque cosa si presti a incastonarci pietre preziose di qualsivoglia misura. Fantastico il mappamondo da 32 kg d’oro e 4 kg tra smeraldi, rubini e diamanti. L’ultima  tappa è alla torre Azadi voluta da Farah Diba 56 anni fa. Ha il suo perché in mezzo al traffico delirante. Un balzo di 800 km e saremo nel sud a Kerman.

Kerman

Kerman 1800 mt. circa. Bazar di Kerman, una città nella città. In Iran i bazar sono rigorosamente coperti: non sarebbe infatti tanto simpatico fare compere con un sole a 50 gradi sulla zucca… Una fila lunghissima di negozietti sotto volte di mattoni, ogni tanto una cupola, ogni tanto una moschea. L’hammam è chiuso, è lunedì, Mahnoosh sperava in un cambio di orario per ragioni turistiche ma evidentemente non è così. Il portale è ricco di immagini di uomini e animali, c’è anche la rappresentazione dello Zurkaneh, la forma di allenamento tradizionale nelle case della forza. Fuori un vecchio sgrana il rosario. Chiedo se posso fare una foto, lui reclina la testa di lato in segno di assenso. Click. Ci concediamo una bevanda rinfrescante che sembra polvere d’oro in acqua. Ma l’appuntamento con l’hammam è solo rimandato a dopodomani. Prima di partire per Yazd ci tufferemo nel suo bellissimo interno: nei vari ambienti con maioliche meravigliose hanno ricreato le scene quotidiane di vita. C’erano spazi per le diverse classi di persone: il governatore, i khan, i lavoratori… C’è una lastra di alabastro dove un raggio di luce proveniente da dietro indica l’ora, così anche all’interno potevano avere un’idea del momento della giornata.

Ormai sono le 12 ed è tempo di partire per Mahan. La strada per uscire è la solita sequenza di vai e vieni inframmezzato da inversioni a U. Prima sosta a Mahan al mausoleo di Shah Neimatollah Vali, con cupola, giardino, sepolcro del santo, ragazze sedute con bambino in porta enfant. Arriviamo ai giardini Bagh-e-Shadze. Una serie di cascatelle tra due lunghe file di fiori ci conducono ad una terrazza dove consumiamo il nostro pranzo. Il giardino fa parte dei nove giardini persiani patrimonio dell’Umanità: iniziamo da questo e termineremo l’ultimo giorno con quello di Kashan. La degna conclusione della giornata è il sole del tramonto che  accarezza le mura di Bam.

Bam e Raien

Da Mahan a Bam ci sono 100 km veloci di strada nel deserto.
Lungo le strade della città moderna foto di martiri ovunque. I martiri sono i caduti nella guerra al massacro con l’Iraq quando Saddam cercò di risolvere a modo suo i rapporti con gli Ayatollah.
A Bam ci sono altri tristi ricordi a iniziare dal cimitero dei morti nel terremoto del 2003 e dalle due montagnette fatte con le macerie.
Bam, la mitica Bam, patrimonio Unesco, set del Deserto dei Tartari di Zurlini, immersa in un immenso palmeto, venne rasa al suolo da un terremoto nel 2003. Oltre 40.000 abitanti persero la vita. Amir la nostra guida locale, passò 7 ore sotto le macerie prima di essere salvato o rinascere come dice lui.
Iniziamo la visita dell’Arg, in compagnia di Amir di buon ora, in modo da sfruttare la parte relativamente fresca della giornata. La fortezza che sta risorgendo nelle forme originali con l’aiuto economico di tutto il mondo, Italia inclusa. È un’emozione camminare all’interno di questa meraviglia di fango e paglia che sta risollevandosi dalle macerie. Conteneva 528 case, 8 per i ricchi, 20 per i “borghesi” e le rimanenti 500 per il resto del mondo. C’erano 158 pozzi, stalle, il bazar e il palazzo del governatore. E 1 sola porta di accesso. Ci fanno notare due torri, una è crollata con il terremoto e l’altra no. Perché? Sono bastati 4 tronchi di palma come armatura del fango a tenerla in piedi. Ha dell’incredibile. Siamo praticamente gli unici turisti, poi c’è qualche operario e poi… poi una torma di bambine in hijab bianco accompagnate da maestre munite di chador. Alle bimbe piacciono le foto e noi le accontentiamo di buon grado.
Terminata la visita riprendiamo al contrario la strada di ieri. Un’oretta e siamo al bivio per Raien, la seconda città di fango e paglia dopo Bam, ma al contrario di quest’ultima non devastata dal terremoto. Anche qui c’è un ingresso solo nelle mura difese da 16 torri, il palazzo del governatore, 4 cortili interni, case, una palestra o casa della forza, un tempio del fuoco. Insomma tutto il necessario.
Saliamo le solite scale con gradini in verticale da 4 metri e mezzo e la vista spazia non solo sulle mura ma anche sulle cime innevate dei monti Zagros, le montagne più alte dell’Iran centrale. Il tramonto di stasera è tra i Kaluts, formazioni fiabesche di sabbia ad un centinaio di km. da Kerman.

 

Anziano a Kerman

Mura di Bam

Bam

Torri del silenzio di Yazd

A Yazd ci arriviamo da sud e quindi una tappa al caravanserraglio di Zein-o-din, l’ultimo a pianta circolare, è d’obbligo. Adesso è trasformato in albergo: le camere sono delimitate da tende, i bagni sono in comune ma pulitissimi, dal tetto un panorama mozzafiato. Alle 17 con una luce spettacolare siamo alle Torri del Silenzio di Yazd. In cima a due colline con ai piedi ciò che rimane dei luoghi per accogliere i pellegrini zoroastriani prima dell’ultimo viaggio, si levano le mura delle Torri. Analogamente ai cimiteri celesti tibetani, gli zoroastriani esponevano i loro morti lasciandoli alle cure degli avvoltoi. La natura che torna alla natura. Lungo la salita ad una delle due torri c’è un gruppetto di ragazze truccatissime e curatissime che si lasciano fotografare con un sorriso. Il sorriso che sembra pervadere tutto questo meraviglioso paese.

Yazd – Museo dell’acqua e torri di vento

La giornata di visite inizia con il museo dell’Acqua. Un tuffo nella comprensione di un bene che per noi è scontato, ma che nel deserto è la differenza tra vita e morte. Tanto importante che te la porti pure in dote quando ti sposi. Qui dietro ad ogni rubinetto c’è un lavoro eroico. C’è la descrizione dei qanat, i canali che raccolgono l’acqua dalle montagne e la portano dove serve alla vita attraverso gallerie sotterranee. Foto di lavoratori con torce ad acetilene piegati in due. Vestiti di bianco, il colore della morte, perché nel caso sono già pronti. Dopo l’acqua viene il fuoco, il simbolo di Zoroastro. Un fuoco sacro mantenuto vivo per secoli, protetto dal tempio, accudito dai suoi custodi.
Oggi è il compleanno di Ali – genero di Maometto e suo successore secondo gli Sciiti – molti negozi sono chiusi, anche il bazar, e quindi ce ne andiamo a Meybod. 60 km che scorrono veloci perché oggi il traffico è scarsissimo.
Meybod è un castello di fango e paglia che domina un fossato pieno di alberi di melograno. Nel cortile mattoni per il restauro. All’orizzonte torri del vento, le cupole della ghiacciaia, della cisterna cittadine.
In un posto caldissimo si sono ingegnati ben prima dell’avvento dei condizionatori e dei frigoriferi a produrre quanto la natura non forniva: il freddo. Lo torri di vento raccolgono il vento a qualche metro da terra e lo fanno circolare verso il basso. L’effetto è sorprendente perché all’interno degli ambienti è veramente fresco. La ghiacciaia è costituita da due vasche all’aperto che servivano a far gelare l’acqua in inverno. Il ghiaccio che si formava veniva raccolto e stoccato sotto paglia in una fossa riparata dal caldo da una grandissima cupola in fango. Semplice e funzionale. La suddivisione del ghiaccio seguiva quella dell’acqua come testimoniato nel museo a Yazd: ognuno aveva la sua quota. Vera democrazia.
Stop fuori programma alla piccionaia, altra torre con altro scopo. All’interno posatoi nel fango per 4000 piccioni. Il raccolto si chiamava guano, la sua funzione fare da concime. Il posto è fotograficamente fantastico.

Yazd – La piazza, la lotta, lo Zurkaneh

Un salto in hotel e siamo di nuovo in pista. La luce calda della sera, un torneo di lotta in piazza – è lo sport nazionale – le tombe dei militi ignoti di una guerra ignobile come tutte le guerre, le custodi alle tombe armate di scopini verdi per allontanarti senza toccarti. Alle 19 c’è lo Zurkaneh a pochi passi dalla piazza. È la forma di allenamento tradizionale: in una buca circondata dagli spettatori, 5-6 uomini si allenano mimando il tiro con l’arco, maneggiando scudi, clave, aste di ferro al ritmo del tamburo e del canto del moršed.  Oggi è il compleanno di Ali, il successore designato da Maometto secondo gli sciiti, e le storie che si cantano sono dedicate a lui. Vedo le labbra della nostra guida e dei tanti iraniani presenti muoversi al ritmo del tamburo. Il tamburo è come il battito del cuore, emoziona e dà vita.
All’uscita tante donne sole che passeggiano in tutta tranquillità, alcune ancora al lavoro nei negozi e nei chioschi. Distante mille miglia dal cliché della donna islamica sottomessa.

 

Torri del Silenzio a Yadz

Meybod

Lo Zurkaneh

Shiraz

Ci inoltriamo nella parte desertica fino a Abar Kuh per ammirare il cipresso forse piantato da Zoroastro oltre 4000 anni fa. Il tronco è 6 metri di diametro, l’altezza è 35 metri, la forma è quella della foglia cachemire. O meglio la forma della foglia cachemire è quella del cipresso perché furono gli iraniani a portarla in India.
Dopo diverse ore di deserto, il paesaggio comincia a presentare macchie di verde che contrastano con l’arido tutto intorno. Siamo all’ingresso di Shiraz, passiamo dalla Porta del Corano e in breve si è al mausoleo di Hafez, il poeta più amato nella letteratura persiana. Il mausoleo con la sua tomba giace sotto una cupoletta in un bel giardino di aranci. All’interno molti visitatori persiani fanno così: aprono a caso il libro di poesie di Hafez e leggono. Lì c’è la risposta alle loro domande.
I bellissimi giardini di Naranjestan ti accolgono stordendoti con il profumo delle zagare. In fondo c’è una residenza qajara con un piccolo museo, una fontana, la classica vasca di forma allungata piena di zampilli. Il tutto immerso in una fioritura spettacolare che mai mi sarei aspettato in mezzo ad un deserto.
Il centro della città è dominato dal forte (arg) di Karim Khan con il suo bellissimo hammam privato e tanto per cambiare un bel giardino.
È l’ora del mausoleo Shah Ceragh, dedicato al fratello dell’Imam Reza. Si entra separati, uomini da una parte e donne dall’altra. Siamo accolti da un ragazzo occhialuto e parlante un buon inglese che ci fa da guida. Il reparto femminile, munito di chador versione turistica ovvero bianco a disegni e tenuto insieme in qualche modo, esce accompagnato da una ragazza simpaticissima di nome Mariam. Il mausoleo è aperto H24 grazie all’impegno di 3000 volontari come i nostri due accompagnatori. Entriamo all’interno del santuario dove c’è la tomba sotto un baldacchino. Ci sono persone che arrivano strusciando le mani su una scritta per baciare la grata che protegge la tomba. È molto toccante. La volta della sala è interamente coperta di specchi, i famosi puzzle di specchi persiani realizzati per utilizzare ciò che arrivava rotto da Venezia. L’effetto è veramente un “Impero di luce”. Finita la visita ci rincontriamo e saliamo alla piccionaia dove oltre ad esserci migliaia di uccelli c’è un panorama mozzafiato sul complesso. Il cielo è diventato di fuoco, le cupole d’oro, nell’aria i colombi atterrano e decollano, macchie bianche e grigie su sfondo porpora. E’ un tramonto commovente, impossibile rendere in immagine questa bellezza.

Persepoli e Nash-e-Rostam

Ore 9 a Persepoli. Non sono certo i quattro bassorilievi che mi aspettavo. La Persepoli, capitale rappresentativa dell’impero Achemenide venne distrutta dalle fiamme dopo la presa di Alessandro Magno. Che sia stato il desiderio di distruggere il simbolo dell’impero persiano o pura fatalità, sta di fatto che ciò che rimane è comunque impressionante: una terrazza alla quale si accede con una scalinata conduce alla famosa porta dei leoni, poi ai capitelli con le teste di grifone, poi ad un’area vastissima disseminata di bassorilievi di una finezza meravigliosa. Sono rappresentati i diversi popoli delle diverse satrapie che condotti per mano da persiani e medi portano doni e omaggi al re. Tra i bassorilievi anche rappresentazioni di leoni che aggrediscono e si sbafano tori. L’anno nuovo che si disfa di quello vecchio. Il ciclo delle stagioni e della vita.

Mi arrampico fino alla tomba di Artaserse a dominio delle rovine. È scavata nella falesia, adornata di bassorilievi che sostengono il re e dominata dalla rappresentazione del dio Ahura Mazda.
Ci spostiamo di 5 km a Nash-e-Rostam. All’arrivo passo di fianco ad una bancarella, il venditore sta tagliando un melone e mi dà una fetta al volo. L’Iran è anche questo. Ma è anche fatto dalle tombe nella roccia simili a quella di Artaserse. Ce ne sono quattro a forma di croce (4 braccia come i quattro elementi, in fondo anche la croce cristiana è così) scavate alte nella roccia, sulle tombe c’è un’apertura di accesso, sopra corre un fregio di persone esattamente come quello sulla tomba di Artaserse a Persepoli. Sotto le tombe alcuni bassorilievi tra cui quello che rappresenta Valeriano in ginocchio davanti al suo vincitore a cavallo Saphour. Quella che sembra da lontano una costruzione moderna e diroccata è in realtà qualcosa di antichissimo ovvero la Kabah Zoroastriana. Si trova in buona parte sotto il livello del terreno e quindi i suoi 12,5 mt di altezza sembrano molto meno.

Ciro il Grande

120 km separano Shiraz da Pasargade e dalla tomba di Ciro il Grande. Esattamente un’ora e mezza e ci siamo. Si inizia dal piatto forte ovvero la tomba. Lì, in cima a pochi gradoni altissimi, un sepolcro vuoto è ciò che rimane del Re dei Re. D’altronde un’iscrizione recita: “Benvenuto o pellegrino ti aspettavo, dinnanzi a te giace Ciro, re dell’Asia, sovrano del mondo. E tutto ciò che è rimasto di lui è polvere, non invidiarmi”.
Di lui nemmeno la polvere e della sua capitale una sola colonna. Il resto sono vere rovine, qualche mozzicone di colonna, qualche pezzo di bassorilievo, un’iscrizione in tre lingue. Poco altro a parte un intrepido ragazzo di Rafsanjani che sta tornando a casa dopo aver attraversato Turchia e Siria in bici. Questo sì che è viaggiare!
Si riparte attraverso un paesaggio brullo con rare macchie verdi. Un cartello di obbligo catene da neve ci ricorda che viaggi sopra i 2000 metri e qui in inverno nevica.

Moschea a Shiraz

Shiraz, il Naranjestan

Persepoli, bassorilievo

Isfahan – I ponti

Isfahan, la città più famosa della Persia insieme a Shiraz, è un vero giardino, tanto traffico e caos ma il tutto in mezzo a fiori e alberi. Arriviamo al ponte Khaju, il primo dei ponti storici, il più bello. Costruito con una tripla funzione: ponte, diga e luogo di riposo. Attraversa il fiume Zayandeh che è stranamente pieno di acqua. Altrettanto pieni sono i prati sulle rive del fiume: famiglie e gruppi di amici impegnati in pic nic e chiacchiere.  Sotto le arcate superiori del ponte gente che passeggia, che canta.

Percorriamo a piedi la riva fino al ponte 33, nome che deriva dal numero delle arcate. Le rive sono piene di bambini, ragazzi, famiglie, vecchi. Tanti ti chiedono da dove vieni e sei sempre accolto da un “welcome”, una stretta di mano, un’offerta di cibo. Alle ragazze piace da morire farsi fotografare e fare “selfie” insieme e così il nostro procedere è lento, ma piacevolissimo.

Isfahan – Piazza Imam

La mitica piazza di Isfahan, piazza Imam, è 500 metri per 170 di splendore. Shah Abbas, il membro più famoso della dinastia Safavide, la fece erigere come rappresentazione del potere politico, economico, religioso e privato. Per questo ci sono il palazzo Ali Qapu, il bazar, la Moschea dell’Imam, la moschea Lotfollah. Si inizia dalla moschea dell’Imam con le sue maioliche blu e i suoi minareti. All’interno la moschea, due madrase, diversi cortili, una cupola doppia con camera di 12 metri tra le due parti e purtroppo tante impalcature montate per questa settimana di festa.
Alle 14, giusto l’orario di apertura, entriamo nella moschea di Lotfollah, quella privata, quella senza minareti. Lotfollah, “l’opera modesta di un meschino bisognoso della misericordia di Dio”, recita la scritta su una piastrella sotto una cupola che è una meraviglia. La base quadrata si erge con poligoni sempre più poligonali fino al cerchio che non può far altro che terminare in un punto unico: Dio. Cupole così ne esistono poche al mondo. La cupola è stata decentrata per riallineare il Mihrab alla Mecca. La modesta opera di Mohamed Reza Isfahani.
Si prosegue con il palazzo Ali Qapu, ovvero il simbolo del potere. Visto da fuori sembra un due piani da 10 metri l’uno. Invece sono cinque piani con a metà un’enorme terrazza che permette una vista magnifica sulla piazza e sulle montagne dietro la città. Così Shah Abbas poteva mostrare agli ospiti tutta la sua ricchezza e la sua potenza. Ci si arrampica, passando sotto soffitti dipinti a motivi floreali e animali, fino in cima, alla sala della musica decorata con forme che ricordano mandolini.

Isfahan

Prima meta della mattina è la moschea vecchia di Jameh. Una costruzione di oltre 2000 anni visto che risale all’epoca seleucide. E’ stata ampliata più volte soprattutto dai selgiuchidi aggiungendo cupole, porticati, coperture. Ci si arriva dopo aver lasciato il van ad una rotonda sotterranea che ricorda abbastanza una camera a gas, visto gli scarichi auto ristagnanti. Qui le parti in maiolica sono relativamente poche, il vero protagonista è il mattone usato anche nelle due meravigliose cupole. L’interno mi ricorda una chiesa romanica, forse per questo mi piace moltissimo.
Ci spostiamo per visitare la cattedrale armena di Vank nel quartiere di Jolfa. La chiesa all’esterno è abbastanza anonima, ad eccezione del cartello che ricorda il genocidio del popolo armeno. Dentro, da buona chiesa ortodossa, è un tripudio di affreschi raffiguranti scene sacre.
Fuori dalla chiesa, il museo armeno che raccoglie testi sacri, oggetti, uno scritto su un capello che puoi leggere solo con un microscopio, documenti sugli editti degli shah a favore della popolazione armena, testimonianze del genocidio ancora negato da molti. Pranziamo in un locale vicino alla cattedrale. Sperimento lo sekanjabin, una bevanda composta da cetrioli, miele, aceto e forse menta e lime. Detta così sembra una schifezza, nella realtà è squisita. Post pranzo concertino di Tar e Setar (letteralmente tre corde anche se ne ha quattro). Proseguiamo con un fuori programma ovvero i minareti oscillanti. Ogni ora e mezza c’è un tipo che si attacca ad un minareto e comincia a scuoterlo. Il minareto inizia ad oscillare paurosamente influenzando anche un secondo minareto anche se in modo meno eclatante.
Salutiamo il tramonto nella piazza Imam, mangiando gelato allo zafferano e “bevendoci” il lento mutare del colore del cielo.

Isfahan, dipinti a Vank

Ponte a Isfahan

Villaggio di Abyaneh

Natanz e Abyaneh

A 1 ora e mezza di strada veloce che scorre nel deserto, sorge Natanz, nota al mondo per un deposito nucleare e in Iran per la tomba del Sufi Sheikh Abd al-Samad. Si entra: a sinistra c’è la tomba ricoperta di maioliche, sopra un’elaboratissima cupola che sembra di “meringa”. All’esterno nel cortile un’altra cupola anche se rovinata e un Mihrab mancante. All’esterno un minareto svettante e un portale maiolicato.
Ci si inerpica fino ai 2500 mt. di Abyaneh. Si paga l’ingresso al villaggio per 2 motivi: patrimonio Unesco e le donne con scialli tradizionali. Pare che non si possano fotografare le donne, pena “tutte le pene del mondo”, che la maggior parte della popolazione sia emigrata e quando tornano si mettano tutti in costume. Effettivamente in giro ci sono “giovinette” piegate in due che si reggono con il bastone. Gli scialli ci sono, per le foto basta chiedere e tutti ti dicono di sì con un sorriso. Il villaggio ricorda quelli yemeniti, case squadrate di fango a salire a scaletta, portoni di legno intagliato, dietro le montagne. Tanti turisti anche iraniani. Il classico posto da gita. Ti chiedono se parli inglese cosa pensi dell’Iran e la solita teoria di domande di rito. Poi foto a loro e di noi con loro. Saremo su tutti i social del mondo, visto che qualcuno ti chiede se può postare il selfie su Instagram.

Kashan e Qom

A un’ora di strada da Abyaneh si trova Kashan. Il bazar di Kashan è antico, ha un’aria fané ma proprio per questo ha un fascino pazzesco, il the sotto la cupola centrale vale da solo il viaggio.
Kashan è famosa per le sue case tradizionali: oltre a quella che ci ospita come hotel, ne visitiamo una ancora più grande. Ha diversi cortili compreso uno per la servitù, una scala che porta sottoterra nella zona fresca estiva. Considerata la temperatura di aprile direi che è indispensabile. All’esterno tanti negozietti con libri, acqua e petali di rosa. Ci spostiamo alla moschea. Qui le maioliche hanno la tonalità gialla tipicamente qajara. Le raffigurazioni sono ricche di dettagli, fiori e uccellini. Ultima tappa è il giardino di Fin uno dei mitici nove patrimonio Unesco. Di mitico oggi c’è soprattutto la coda per entrare. Sarà che sono un po’ triste per l’imminente partenza, ma non mi sembra bello come altri: ci sono comunque canaletti con bambini che ci sguazzano dentro, un padiglione con un bel soffitto e tantissima gente.
Qom città santa che custodisce la tomba di Fatimeh la sorella dell’Imam Reza. Il cielo è triste, anche a lui scappa qualche lacrima. Come a Shah Ceragh ci viene a prendere un accompagnatore, ma stavolta viaggiamo insieme maschi e femmine, le donne con il chador per straniere.
Il primo cortile ha 65 anni, il secondo risale all’epoca safavide. Per dorare la cupola ci sono volute decine di kg di oro. Gironzoliamo, nel santuario vero e proprio non si può entrare. Qui è iniziata la parabola di Khomenei che ha portato alla Repubblica Islamica. Qui c’è un’importante scuola religiosa dove si studia tutto ciò che ha a che fare con la religione, arte inclusa.
Anche qui abbiamo trovato tanta gentilezza e nessuno dei divieti tanti reclamizzati in occidente. L’accompagnatore ci saluta con un “tornate ancora”.
Ormai siamo di fronte all’aeroporto, salutiamo in nostri due angeli custodi con un addio che deve essere un arrivederci. A noi non ci resta che percorrere il tunnel sopraelevato e imbarcarci. Come ha scritto Hafez: “Lascia che la polvere ricada sulla strada in modo da renderla visibile. E poi avanza con lo sguardo sulla via dell’amore”.